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Categoria: Cultura e Turismo

A proposito di Labirinti

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Solo un anno fa, pro­prio nel mese di set­tem­bre ci lascia­va Fran­co Maria Ric­ci, edi­to­re e col­le­zio­ni­sta d’arte di fama inter­na­zio­na­le. Per chi ha avu­to occa­sio­ne di segui­re le sue impre­se ed idee arti­sti­che, si sarà accor­to che ave­va dedi­ca­to anni di vita all’idea del labi­rin­to, que­sto segno uni­ver­sa­le che attra­ver­sa la sto­ria dell’umanità, ma il cui signi­fi­ca­to pre­ci­so sfug­ge alla mag­gior par­te del­le per­so­ne. Ne ave­va con­get­tu­ra­to e favo­leg­gia­to col il suo fida­to col­la­bo­ra­to­re Jor­ge Luis Bor­ges, teo­ri­co e stu­dio­so di labi­rin­ti tra le altre cose, duran­te lun­ghi sog­gior­ni ami­ca­li che l’argentino tra­scor­re­va nel­la sua resi­den­za di campagna.

Per que­sto nel 2015 dopo lun­ghi stu­di e rifles­sio­ni F.M. Ric­ci deci­de di abban­do­na­re l’idea del labi­rin­to per pas­sa­re alla costru­zio­ne di un vero labi­rin­to, che acca­rez­zi la sem­bian­za di uno anti­co ma che in veri­tà sia feli­ce­men­te moder­no, mae­sto­so e bene­vo­lo per chi lo attra­ver­sa. Attual­men­te il più gran­de d’Europa, è sicu­ra­men­te uno dei più bel­li mai costrui­ti, lus­su­reg­gian­te nel ver­de del­le sue pian­te di bam­bù, ario­so nei via­let­ti che lo compongono.

Si chia­ma il Labi­rin­to del Maso­ne e si tro­va a Fon­ta­nel­la­to nel bel mez­zo del­la pia­nu­ra pada­na, appe­na fuo­ri Fiden­za. L’area su cui è sta­to costrui­to è libe­ra da altre costru­zio­ni, intra­ve­der­lo anche dal­la stra­da con un ver­de acce­so dei bam­bù e la pun­ta del­la pira­mi­de che com­ple­ta il per­cor­so del labi­rin­to dà un gran­de effet­to di mera­vi­glia. Men­tre si per­cor­ro­no i suoi via­let­ti ci si accor­ge che è inte­ra­men­te rea­liz­za­to con pian­te di bam­bù, ma mol­to dif­fe­ren­ti l’una dall’altra tan­to che se ne pos­so­no con­ta­re fino a ven­ti spe­cie diver­se e alte dai 30 cm ai 15 metri di altez­za. Il bam­bù è qui uti­liz­za­to al posto del­la pian­ta di bos­so, la più adot­ta­ta nei seco­li in par­chi e giar­di­ni come pian­ta in gra­do di tra­sfor­mar­si nel­le for­me più bizzarre.

La distan­za col pas­sa­to non è fini­ta. Infat­ti il Labi­rin­to per anto­no­ma­sia, quel­lo di Minos­se, era una pri­gio­ne e tut­ti i labi­rin­ti nei seco­li a veni­re han­no sem­pre man­te­nu­to que­sta ten­den­za al miste­ro, alla per­di­zio­ne e allo smar­ri­men­to . A Maso­ne inve­ce si pas­seg­gia, si fa una sosta, si riflet­te seden­do­si su una pan­chi­na e sen­za ave­re real­men­te l’impressione di esser­si per­du­ti. Lo spic­chio di cie­lo è ampio sopra la pro­pria testa, la pun­ta del­la pira­mi­de fa da faro e rife­ri­men­to. Intor­no al Labi­rin­to Fran­co Maria Ric­ci, come a com­ple­ta­re la sua ope­ra, ha lascia­to visi­ta­bi­le al pub­bli­co la sua col­le­zio­ne d’arte, la sua per­so­na­le biblio­te­ca e l’Archivio con tut­te le sue pre­sti­gio­sis­si­me edi­zio­ni, un caf­fè e un bistrot per con­sen­ti­re visi­te più lun­ghe e gradevoli.

Se que­sto labi­rin­to è sta­ta pen­sa­to e crea­to dall’editore emi­lia­no come rega­lo per tut­ti, soli­ta­men­te i labi­rin­ti era­no inve­ce luo­ghi riser­va­ti a pochi, luo­ghi di riti­ro dove ‘puri­fi­car­si’ attra­ver­san­do un per­cor­so che risto­ras­se, resti­tuen­do equi­li­brio e benes­se­re psi­co­fi­si­co. Alme­no nel­le vil­le rina­sci­men­ta­li e baroc­che, in Ita­lia così numerose.

Non trop­po distan­te da Fon­ta­nel­la­to ci sono in Vene­to altri deli­zio­si labi­rin­ti nei par­chi di splen­di­de resi­den­ze, a Vil­la Bar­ba­ri­go sui Col­li Euga­nei e a Vil­la Pisa­ni nel­la pro­vin­cia veneziana.

Quel­lo sui Col­li Euga­nei è un labi­rin­to sei­cen­te­sco, attraen­te e fasci­no­so per­ché immer­so in un giar­di­no dove ogni sta­tua o gio­co d’acqua fa par­te di un per­cor­so di puri­fi­ca­zio­ne per il visi­ta­to­re. I com­mit­ten­ti di que­sto pic­co­lo mon­do ver­de, i signo­ri Bar­ba­ri­go, era­no pos­si­den­ti di vastis­si­mi ter­ri­to­ri e costrui­ro­no vil­la e giar­di­no come voto per scon­fig­ge­re la peste del 1630. Tut­to il par­co quin­di rispon­de ai cano­ni di bel­lez­za idea­le e di pote­ri sal­vi­fi­ci e fon­ta­ne, scul­tu­re, via­lett­ti e labi­rin­to sono un’ascesa di catar­si. Sei­mi­la pian­te di bos­so, alcu­ne anti­che di 400 anni, rag­giun­go­no l’estensione degli 8000 metri qua­dra­ti del gran­de labi­rin­to. Una via d’acqua che arri­va da Vene­zia è l’ingresso del Padi­glio­ne di Dia­na che por­ta al Labi­rin­to e lì il visi­ta­to­re può facil­men­te per­der­si, per­ché sei dei vico­li sono cie­chi come sei sono i vizi capi­ta­li. Ideal­men­te chi supe­ra i sei vico­li cie­chi può sali­re sul­la bel­la tor­re cen­tra­le, da cui si gode la vista sull’intero labi­rin­to per ren­der­si con­sa­pe­vo­le del giu­sto per­cor­so fat­to e dun­que del suo ruo­lo nel­la vita. Nel­le nume­ro­se vil­le anti­che dis­se­mi­na­te per tut­ta la peni­so­la sono diver­si i labi­rin­ti di que­sto tipo, men­tre in Sici­lia ne tro­via­mo uno com­ple­ta­men­te diver­so. Svet­ta su una col­li­na, un ros­so rosa­to che inter­rom­pe la cro­mia di ver­se dell’intera val­la­ta, cir­co­la­re nel­la sua perfezione.

Biso­gna arri­va­re al pae­si­no arroc­ca­to di Castel di Lucio, nel­la pro­vin­cia mes­si­ne­se. Nel 1990 l’artista Ita­lo Lan­fre­di­ni rein­ter­pre­ta l’idea del labi­rin­to rea­liz­zan­do­ne uno che ricor­da nel­le for­me il ven­tre mater­no. Il cal­ce­struz­zo è il mate­ria­le con cui è fat­to ed è l’ultima tap­pa di un per­cor­so dif­fu­so di Land Art dal nome Fiu­ma­ra d’arte, uno dei par­chi d’arte più gran­di d’Europa.

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Testo di Fede­ri­ca Falchini

Villa Celle e le sue meraviglie

Villa Celle

La col­le­zio­ne d’arte ambien­ta­le idea­ta e volu­ta con amo­re e impe­gno da Giu­lia­no Gori pren­de for­ma uffi­cial­men­te il 12 giu­gno 1982. Lascia­no la fir­ma su quest’avventura tan­ti arti­sti, ita­lia­ni e inter­na­zio­na­li. Mim­mo Pala­di­no, Gil­ber­to Zorio, Fau­sto Melot­ti, Miche­lan­ge­lo Pisto­let­to, l’americano Robert Mor­ris, teo­ri­co del­la Mini­mal Art, Daniel Buren, Sol LeWitt, Jean-Michel Folon e mol­tis­si­mi altri.

Un luo­go magi­co, una sor­ta di pae­se dei baloc­chi per chi ama l’arte e in par­ti­co­la­re quel­la che incon­tra la natu­ra. Un luo­go dove idee e sogni han­no pre­so la for­ma di ope­re arti­sti­che e dove il solo impe­ra­ti­vo da segui­re è quel­lo di lascia­re fuo­ri il nostro traf­fi­co quo­ti­dia­no dai con­fi­ni fisi­ci del­lo spa­zio che ci sta per incantare.

Vil­la Cel­le con le sue set­tan­ta ope­re d’arte ambien­ta­li rispon­de alle dina­mi­che del­l’u­to­pia e del­la mera­vi­glia. Asso­mi­glia ad una favo­la, che ha avu­to il suo prin­ci­pe in Giu­lia­no e Pina Gori, una cop­pia di impren­di­to­ri inna­mo­ra­ti del­l’ar­te, del bel­lo e del­l’a­mi­ci­zia e che con que­sti sen­ti­men­ti han­no per decen­ni invi­ta­to arti­sti a Cel­le da ogni dove. Con loro han­no par­la­to, festeg­gia­to, pro­get­ta­to e con­di­vi­so un uni­co pro­get­to, tra­sfor­ma­re una lus­suo­sa vil­la resi­den­zia­le in un luo­go d’ar­te. Andy Warhol, Chri­sto e Jean­ne-Clau­de pas­sa­no di qui, Niki de Saint Phal­le e l’ec­cen­tri­co mari­to Jean Tinguely.

Alla fine degli anni ’70 Giu­lia­no acqui­sta la Vil­la Cel­le e il suo immen­so par­co per dare for­ma ai suoi sogni. Da allo­ra nel­la vil­la e nel suo par­co è sta­to fino a pochi anni fa, un alter­nar­si di sog­gior­ni, even­ti, per­for­man­ce, sera­te festo­se, incon­tri e scon­tri tra arti­sti che qui si sono cono­sciu­ti per la pri­ma vol­ta, pas­sa­ti insie­me all’insegna del­la bel­lez­za e dell’arte.

Per chi arri­va oggi a Cel­le dà il ben­ve­nu­to una bel­la scul­tu­ra di Alber­to Bur­ri del 1986, un gran­de fer­ro vaga­men­te cir­co­la­re di un ros­so minio che svet­ta sul pia­no ver­de del prato.

La pas­seg­gia­ta nel par­co si alter­na nei sali scen­di di ter­ra­pie­ni e via­let­ti, ampi pra­ti e laghet­ti, nel luc­ci­chio metal­li­co del­le ope­re di Fau­sto Melot­ti o di Loris Cecchini.

Tra quel­le più enig­ma­ti­che del par­co c’è sicu­ra­men­te quel­la di Clau­dio Par­meg­gia­ni e Robert Mor­ris, Melan­co­lia II. I due arti­sti han­no volu­to nel par­co un can­ne­to di diver­se pian­te di bam­bù e diste­so sul ter­re­no han­no ada­gia­to gran­di scul­tu­re di mar­mo che rap­pre­sen­ta­no tut­ti gli ogget­ti più signi­fi­ca­ti­vi del­la cele­bre inci­sio­ne cin­que­cen­te­sca di Albre­cht Durer, Melencolia.

Di mar­mo è anche il labi­rin­to che l’a­me­ri­ca­no Robert Mor­ris lascia a Vil­la Cel­le. Un gigan­te­sco trian­go­lo di mar­mo alto due metri e mez­zo, bian­co e ver­de, sca­va­to al suo inter­no è il labi­rin­to-gio­co dove perdersi.

Mar­mo e metal­lo, accia­io e otto­ne, bron­zo, sono i mate­ria­li che mag­gior­men­te abi­ta­no il ver­de ambien­te di Cel­le, ma anche vetri dal­le cro­mie fluo ina­spet­ta­te col­pi­sco­no lo sguar­do del visitatore.

Nel 2005 arri­va a Cel­le lo scul­to­re fran­ce­se Daniel Buren, cele­bre per la sua gal­le­ria di cer­chi colo­ra­ti rea­liz­za­ti per Monu­men­ta 2012 al Grand Palais di Pari­gi. Qui nel gran­de par­co tosca­no gio­ca anco­ra con cam­pi­tu­re di colo­ri mol­to acce­si e con la tra­spa­ren­za. Il rifles­so degli spec­chi aumen­ta e dimi­nui­sce i volu­mi del­le sue quat­tro gran­di stan­ze, siste­ma­te su una radu­ra semi­na­sco­sta nell’attesa di sor­pren­de­re e disorientare.

Nel mez­zo del­la vege­ta­zio­ne for­me e mate­ria­li con­tem­po­ra­nei, figli del­la nostra era urba­niz­za­ta, abi­ta il par­co di Cel­le. Ma c’è anche la sor­pre­sa di tro­va­re ope­re rea­liz­za­te solo con la natu­ra stes­sa e i suoi ele­men­ti. I Cer­chi nel gra­no di Alain Son­fi­st sono que­sto. Anel­li in suc­ces­sio­ne nar­ra­no la sto­ria del pae­sag­gio urba­no. Al cen­tro di un’o­pe­ra cir­co­la­re si tro­va­no le pian­te autoc­to­ne tosca­ne, pro­tet­te da un anel­lo di rami fusi in bron­zo, poi un anel­lo di allo­ro, poi di timo che nasce spon­ta­nea­men­te dall’alloro, poi un anel­lo di gale­stro, la pie­tra ‘bene­det­ta’ per la pro­du­zio­ne vino tosca­no, infi­ne uli­vi e gra­no. Arte ambien­ta­le all’ennesima poten­za, arte nuda che nasce magi­ca­men­te solo dall’unione di idea e natura.

La Vil­la non è mai diven­ta­ta museo, come nel­la volon­tà dei padro­ni di casa, ma un luo­go dove gli arti­sti s’incontrano e dove nasco­no idee, una fab­bri­ca di idee e di bel­lez­za, un labo­ra­to­rio interdisciplinare.

Gli arti­sti che si sono suc­ce­du­ti negli anni han­no tro­va­to in Giu­lia­no Gori un mece­na­te fuo­ri dai suoi tem­pi con­tem­po­ra­nei, un com­mit­ten­te atten­to in gra­do di inne­sca­re sti­mo­li fer­ti­li, tal­vol­ta for­te­men­te dialettici.


Testo di Fede­ri­ca Falchini

Le Mura di Pisa

Mura di Pisa

Le mura di Pisa sono il più anti­co esem­pio in Ita­lia di mura cit­ta­di­ne qua­si com­ple­ta­men­te con­ser­va­te. Alte 11 metri, lun­ghe in tota­le 7 km, di cui 3 nel­la par­te nord del­la cit­tà per­cor­ri­bi­li sta­bil­men­te dal 18 mag­gio 2018.

La costru­zio­ne del­le mura par­te nel 1155, sot­to il con­so­la­to di Coc­co Grif­fi, e la par­te più anti­ca è pro­prio quel­la che costeg­gia Piaz­za dei Mira­co­li. È infat­ti pos­si­bi­le, salen­do, gode­re di un pun­to pano­ra­mi­co che abbrac­cia l’in­te­ra piaz­za, uni­co e nel suo gene­re, per poi pro­se­gui­re lun­go il cam­mi­na­men­to osser­van­do la cit­tà con occhi nuo­vi, per­den­do­si in scor­ci mai visti pri­ma e cam­mi­nan­do nel ver­de lon­ta­ni dal traf­fi­co e dal caos cittadino. 

Nei mesi esti­vi ven­go­no orga­niz­za­ti diver­si tipi di even­ti, tra cui “Mura by night”, visi­te gui­da­te in not­tur­na e col­la­bo­ra­zio­ni con altri grup­pi cit­ta­di­ni, come i Bale­strie­ri di San Marco.

Le mura sono aper­te dal vener­dì alla dome­ni­ca e nei gior­ni festi­vi dal­le 10 alle 20. I pun­ti di sali­ta e disce­sa sono 4: Tor­re S. Maria in piaz­za dei Mira­co­li, Tor­re Pie­zo­me­tri­ca sul­la pedo­na­le che par­te da Via San Fran­ce­sco, Piaz­za del­le Gon­do­le e Tor­re di legno in Piaz­za Fede­ri­co del Rosso.

Sali sul­le Mura e Vivi un’emozione: pas­seg­gia e ammi­ra dall’alto lo spet­ta­co­lo del­la Piaz­za dei Mira­co­li da una pro­spet­ti­va uni­ca, patri­mo­nio mon­dia­le UNESCO.

Coo­p­Cul­tu­re, Coo­pe­ra­ti­va Iti­ne­ra e Pro­mo­cul­tu­ra costi­tui­sco­no l’as­so­cia­zio­ne di impre­se che gesti­sce il cam­mi­na­men­to in quo­ta del­le Anti­che Mura di Pisa.

Per infor­ma­zio­ni e con­tat­ti con­sul­ta­re il sito web o la pagi­na Facebook: 


Testo di Manue­la D’Orlando

Museo dell’Accademia Etrusca e della Città di Cortona

MAEC

Il MAEC di Cortona

Isti­tui­to nel 2005 il MAEC è un museo che riu­ni­sce le anti­che col­le­zio­ni set­te­cen­te­sche dell’Accademia Etru­sca come il lam­pa­da­rio etru­sco, la sezio­ne egi­zia, la biblio­te­ca sto­ri­ca e le ope­re di Gino Seve­ri­ni con i più recen­ti rin­ve­ni­men­ti archeo­lo­gi­ci che illu­stra­no la sto­ria di Cor­to­na. Tra que­sti spic­ca­no la “Tabu­la Cor­to­nen­sis” e i cor­re­di del­le tom­be dei cir­co­li del Sodo. Il MAEC è anche il pun­to di sin­te­si per com­pren­de­re le real­tà del Par­co Archeologico.

La sede del museo è a Palaz­zo Casa­li, uno degli edi­fi­ci più anti­chi e ric­chi di sto­ria del­la cit­tà, dove, in oltre 2000 mq di spa­zio espo­si­ti­vo, sono espo­sti alcu­ni tra i più straor­di­na­ri capo­la­vo­ri del­la civil­tà etrusca.

Nel­le anti­che col­le­zio­ni del Museo dell’Accademia Etru­sca, che riper­cor­ro­no la sto­ria del­la for­tu­na dell’etruscologia a par­ti­re dal Set­te­cen­to e del­la risco­per­ta loca­le dell’Etruria, si segna­la­no lo straor­di­na­rio lam­pa­da­rio etru­sco, la col­le­zio­ne dei bron­zet­ti, la pic­co­la ma impor­tan­te sezio­ne egi­zia, le qua­dre­rie, la splen­di­da biblio­te­ca settecentesca.

Nel Museo del­la cit­tà etru­sca e roma­na di Cor­to­na, che pro­po­ne la rico­stru­zio­ne del­la real­tà topo­gra­fi­ca di lun­go perio­do del­la cit­tà e del suo ter­ri­to­rio –dal­la pre­i­sto­ria al tar­do-anti­co– spic­ca­no i capo­la­vo­ri del­la bron­zi­sti­ca dei con­te­sti di Tre­sti­na e di Fabrec­ce, i cor­re­di dei gran­di tumu­li arcai­ci del­la pia­nu­ra, ric­chi di ori, la cele­bre Tabu­la Cor­to­nen­sis, i mosai­ci poli­cro­mi del­la vil­la roma­na di Ossaia.

Il nuo­vo Museo dell’Accademia Etru­sca e del­la Cit­tà di Cor­to­na è anche il pun­to di acco­glien­za e di infor­ma­zio­ne per acce­de­re al Par­co Archeo­lo­gi­co di Cor­to­na con i suoi 11 siti archeo­lo­gi­ci ubi­ca­ti nel cen­tro sto­ri­co (tra i qua­li ricor­dia­mo le mura e la por­ta bifo­ra) e nel ter­ri­to­rio (in par­ti­co­la­re i tumu­li del Sodo, la tanel­la Ango­ri e la tanel­la di Pitagora).

Servizi ed eventi

È dispo­ni­bi­le gra­tui­ta­men­te l’audio-guida le MAEC da sca­ri­ca­re facil­men­te sul pro­prio PC o smart­pho­ne, attra­ver­so l’app izi​.TRA​VEL. L’audioguida del MAEC si può uti­liz­za­re anche in moda­li­tà off-line ed è dispo­ni­bi­le in ita­lia­no e ingle­se. Ogni anno ven­go­no orga­niz­za­te mol­tis­si­me atti­vi­tà didat­ti­che vol­te alla pre­sen­ta­zio­ne del­le col­le­zio­ni in un modo scien­ti­fi­ca­men­te ad alto livel­lo ma diver­ten­te e adat­to anche a bam­bi­ni e ragaz­zi del­le scuo­le con l’obiettivo di ren­de­re il museo frui­bi­le a tut­ti. Sono dispo­ni­bi­li per­cor­si tat­ti­li nati gra­zie al pro­get­to finan­zia­to nel 2001 dal­la Comu­ni­tà Euro­pea “Archeo­lo­gia sen­za bar­rie­re e agli obiet­ti­vi di acces­si­bi­li­tà e frui­bi­li­tà per tut­ti del Museo. Inol­tre ven­go­no orga­niz­za­ti spet­ta­co­li tea­tra­li in occa­sio­ne del­le Not­ti Dell’archeologia 2021 che vedo­no, per la ter­za edi­zio­ne di Tea­tro Archeo­lo­gi­co, come sce­na­rio natu­ra­le e uni­co il Par­co Archeo­lo­gi­co del Sodo di Cor­to­na con la spet­ta­co­la­re gra­di­na­ta-ter­raz­za deco­ra­ta da grup­pi scul­to­rei ed ele­men­ti archi­tet­to­ni­ci di sti­le orien­ta­liz­zan­te. Per la sta­gio­ne esti­va sono orga­niz­za­te aper­tu­re straor­di­na­rie sera­li dal­le ore 21.00 alle ore 23.00 con visi­te tema­ti­che alle mostre “Luci dal­le Tene­bre” e “La Com­me­dia e Cor­to­na nel tem­po di Dan­te”. Non man­ca­no le mostre tema­ti­che come la sopra cita­ta “Luci dal­le tene­bre, dai lumi degli etru­schi ai baglio­ri di Pom­pei”: una mostra dedi­ca­ta alle tec­ni­che di illu­mi­na­zio­ne e ai ritua­li con­nes­si nel­l’e­po­ca etru­sca, in pro­gram­ma dal 5 giu­gno al 12 set­tem­bre. Attra­ver­so reper­ti pro­ve­nien­ti dai vari musei ita­lia­ni la mostra vuo­le testi­mo­nia­re “le tec­ni­che di illu­mi­na­zio­ne natu­ra­le e gli stru­men­ti di illu­mi­na­zio­ne arti­fi­cia­le usa­ti dagli Etru­schi”. Tra le ope­re espo­ste tro­ve­re­te il cele­bre lam­pa­da­rio etru­sco in bron­zo già custo­di­to nel­le sale del Maec, reper­ti pro­ve­nien­ti da Firen­ze, Tar­qui­nia e Roma fino “all’ec­ce­zio­na­le pre­sti­to” dal Mann di Napo­li, una sta­tua ritro­va­ta a Pom­pei rap­pre­sen­tan­te un efe­bo, cui è dedi­ca­to uno spe­cia­le alle­sti­men­to nel­la sala dei Mappamondi.

La gestio­ne dei ser­vi­zi acco­glien­za, visi­te, book­shop dal set­tem­bre 2020 è a cura di Coop.Itinera, Coop.Aion Cul­tu­ra e Coop.Culture.

IL Maec e le sue espo­si­zio­ni vi aspettano!

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Arte e Natura non sono stati mai così vicini

#itineraracconta

Mai come in que­sto dif­fi­ci­le anno pan­de­mi­co il rap­por­to con il mon­do ester­no, soprat­tut­to il rap­por­to con la natu­ra, spes­so vis­su­to da una fine­stra, è muta­to. Allo stes­so tem­po, le per­so­ne han­no tro­va­to nell’arte e nel­la cul­tu­ra un modo per eva­de­re traen­do gio­va­men­to, anche, per il benes­se­re psi­co­fi­si­co. Si è sen­ti­ta quin­di sem­pre di più l’esigenza di avvi­ci­nar­si a luo­ghi incon­ta­mi­na­ti che riu­scis­se­ro, pos­si­bil­men­te, a com­bi­na­re que­sti due aspetti.

In Tosca­na abbia­mo nume­ro­si esem­pi di “musei a cie­lo aper­to” e di arte ambien­ta­le, uno fra tut­ti “Il Giar­di­no dei Taroc­chi” a Pescia Fio­ren­ti­na, in pro­vin­cia di Grosseto.

Il giar­di­no è un luo­go magi­co idea­to dal­l’ar­ti­sta Niki de Saint Phal­le, pit­tri­ce e scul­tri­ce, ver­so la fine degli anni Set­tan­ta: enor­mi scul­tu­re colo­ra­tis­si­me e rico­per­te di mosai­ci in spec­chio, vetro pre­gia­to e cera­mi­che, raf­fi­gu­ran­ti i 22 arca­ni mag­gio­ri dei taroc­chi, “dia­lo­ga­no” per­fet­ta­men­te con la natu­ra e il pae­sag­gio col­li­na­re del­la Maremma.

Il visi­ta­to­re vie­ne por­ta­to in un mon­do oni­ri­co e sur­rea­le, gra­zie anche a cita­zio­ni, mes­sag­gi e pen­sie­ri che tro­via­mo duran­te il cam­mi­no. Fra le tan­te scul­tu­re, quel­la dal­la sto­ria più inso­li­ta è l’Impe­ra­tri­ce: sta­tua ciclo­pi­ca all’in­ter­no del­la qua­le Niki ha anche abi­ta­to per lun­ghi perio­di duran­te i lavori.

Ad ispi­ra­re que­sto par­co fu, non solo il “Parc Guell a Bar­cel­lo­na di Anto­nì Gau­dì ma anche “Il Par­co dei Mostri di Bomar­zo” a Viter­bo, altri­men­ti chia­ma­to “Sacro Bosco”. Il par­co è sta­to costrui­to pro­ba­bil­men­te nel­la secon­da metà del 500 dall’architetto Pir­ro Ligo­rio e com­mis­sio­na­to dal prin­ci­pe di Bomar­zo Pier Fran­ce­sco Orsi­ni, det­to Vici­no, che lo dedi­cò alla moglie. Il “Sacro Bosco” è ric­co di sta­tue e scul­tu­re in basal­to che raf­fi­gu­ra­no figu­re arca­ne, mito­lo­gi­che e sim­bo­li­che ma anche di spa­zi dove pos­sia­mo ammi­ra­re le “archi­tet­tu­re impos­si­bi­li” come ad esem­pio “la casa pen­den­te”, incli­na­ta per­chè costrui­ta sopra un mas­so non in asse. Il tut­to è per­fet­ta­men­te in sin­to­nia con la natu­ra cir­co­stan­te e sono da non per­de­re le sta­tu­te “Il Pega­so”, “L’elefante, la tor­re, la gui­da ed il legio­na­rio”, “La tar­ta­ru­ga, la don­na e la bale­na”, “l’Or­co, La tar­ta­ru­ga, la don­na e la bale­na” e “Net­tu­no, dio del mare”.

In Tosca­na, a Pie­va­scia­ta a 10 km da Sie­na, “Il Par­co Scul­tu­re in Chian­ti” inau­gu­ra­to nel mag­gio 2004 e idea­to da Pie­ro e Rosal­ba Gia­dros­si, si esten­de per 1 km nel bosco di quer­ce e lec­ci. Le ope­re di arte con­tem­po­ra­nea pro­ven­go­no da diver­si arti­sti inter­na­zio­na­li che sono sta­ti chia­ma­ti per ispi­rar­si all’ambiente natu­ra­le cir­co­stan­te, in modo tale da crea­re una per­fet­ta inte­ra­zio­ne e inte­gra­zio­ne tra le loro ope­re d’arte e la natu­ra. I mate­ria­li uti­liz­za­ti per le ope­re varia­no da quel­li più tra­di­zio­na­li come il mar­mo e il gra­ni­to, a quel­li più moder­ni come il ple­xi­glass, le luci al neon o, addi­rit­tu­ra, il suo­no. L’opera “Labi­rin­to”, dell’inglese Jeff Saward, è una del­le instal­la­zio­ni inte­rat­ti­ve più cono­sciu­te, dove il visi­ta­to­re può entra­re e per­cor­re­re inte­ra­men­te que­sto “labi­rin­to di vetro”.

Un par­co arti­sti­co, for­se meno cono­sciu­to in Tosca­na, ma non per que­sto meno inte­res­san­te, è “Viag­gio di Ritor­no” di Rodol­fo Lac­qua­ni­ti, bio-archi­tet­to, arti­sta idea­to­re e rea­liz­za­to­re. In que­sto luo­go oni­ri­co, inse­ri­to all’in­ter­no del­lo spa­zio natu­ra­le del­l’a­gri­tu­ri­smo “Pode­re Il Lec­cio” a Buria­no (Casti­glio­ne del­la Pesca­ia), rici­cla­re rifiu­ti è un’opera d’arte: le ope­re ven­go­no rea­liz­za­te con mate­ria­li di recu­pe­ro o di scar­to e assu­mo­no nuo­vo valo­re, data l’esigenza dell’artista di oppor­si a colo­ro che riten­go­no uti­le solo ciò che è inse­ri­to all’interno del pro­ces­so pro­dut­ti­vo di con­su­mo. Ma il par­co non è solo que­sto e può anzi esse­re con­si­de­ra­to un con­te­ni­to­re di espe­rien­ze mul­ti­cul­tu­ra­li e arti­sti­che: ven­go­no infat­ti orga­niz­za­ti even­ti, instal­la­zio­ni, mostre foto­gra­fi­che e per­for­man­ce live di musi­ca, arte o poe­sia, dove il pub­bli­co può inte­ra­gi­re e con­tri­bui­re in manie­ra attiva.

Il 26 giu­gno è sta­to inve­ce inau­gu­ra­to il nuo­vo par­co archeo­lo­gi­co “Par­co archeo natu­ra di Fia­vè”, un pic­co­lo comu­ne in pro­vin­cia di Tren­to, all’interno del­la Riser­va Natu­ra­le di Fia­vè-Care­ra, patri­mo­nio mon­dia­le Une­sco. Si trat­ta di una ristrut­tu­ra­zio­ne del­le anti­che costru­zio­ni pala­fit­ti­co­le abi­ta­ti­ve sull’acqua che por­ta­no il visi­ta­to­re ad attra­ver­sa­re un pae­sag­gio ric­co di memo­ria, archeo­lo­gia, sto­ria e natu­ra e a rivi­ve­re le abi­tu­di­ni dei popo­li pre­i­sto­ri­ci che abi­ta­va­no il luo­go e il loro inge­gno tec­ni­co. Il per­cor­so di visi­ta è sta­to affian­ca­to da pan­nel­li infor­ma­ti­vi, fil­ma­ti e tec­no­lo­gie multimediali.

In Ver­si­lia, spin­ti dal­l’im­pos­si­bi­li­tà di aver potu­to orga­niz­za­re festi­val o even­ti arti­sti­ci in que­sto anno di pan­de­mia, l’associazione Cibart di Sera­vez­za, di cui l’artista Mat­teo Mar­chet­ti è il pre­si­den­te, ha pen­sa­to di ripro­por­re il loro for­mat in un per­cor­so dove natu­ra e arte entra­no in sim­bio­si fra loro. La ras­se­gna di arte e cibo che da qual­che anno ha ani­ma­to il cuo­re del­la cit­ta­di­na in pro­vin­cia di Luc­ca, tra­sfor­me­rà il reti­co­lo del­le sto­ri­che Mulat­tie­re apua­ne del cir­cui­to SAV (Sen­tie­ro Alta Ver­si­lia) in una “galleria/sen­tie­ro dell’arte a cie­lo aper­to” che ver­rà inau­gu­ra­to il 25 luglio e reste­rà visi­bi­le fino al 31 di otto­bre. Saran­no coin­vol­ti nume­ro­si arti­sti che pro­por­ran­no scul­tu­re in mar­mo, in fer­ro, in legno o in pla­sti­ca ma anche ope­re di foto­gra­fia, pit­tu­ra e altre arti visi­ve. Le ope­re saran­no dislo­ca­te nel per­cor­so in un per­fet­to con­nu­bio fra arte, natu­ra, crea­ti­vi­tà e sostenibilità.

A Livor­no abbia­mo un esem­pio di con­nu­bio Arte e Natu­ra con il PAC180, Par­co di Arte Con­tem­po­ra­nea, pro­get­to arti­sti­co e cul­tu­ra­le lega­to però al con­cet­to dell’abitare un luo­go di cura: il Cen­tro Resi­den­zia­le Fran­co Basa­glia di Livor­no. Il Pac è gesti­to dal Ate­lier ABC (Ate­lier Blu Cam­mel­lo), nato nel cen­tro Basa­glia, il cui diret­to­re arti­sti­co è Ric­car­do Bar­gel­li­ni, con l’intento di dare la pos­si­bi­li­tà ad alcu­ni “resi­den­ti” di par­te­ci­pa­re a par­ti­co­la­ri atti­vi­tà che svi­lup­pi­no il loro poten­zia­le arti­sti­co e crea­ti­vo. Le pare­ti del cen­tro resi­den­zia­le e il suo par­co sono sta­te infat­ti rico­per­te da graf­fi­ti, car­tel­li, scul­tu­re e tan­to altro. Ogni anno nel pri­mo week-end di luglio si orga­niz­za­no le “Sera­te Illu­mi­na­te”, mani­fe­sta­zio­ne di due gior­ni dove arti­sti nazio­na­li e inter­na­zio­na­li, musi­ci­sti, per­for­mers e poe­ti sono coin­vol­ti in stret­to con­tat­to con i pazien­ti psi­chia­tri­ci e il pubblico.

Fino al pros­si­mo 25 Luglio sarà inve­ce pos­si­bi­le visi­ta­re a Roma “Back to Natu­re. Arte con­tem­po­ra­nea a Vil­la Bor­ghe­se”, a cura del­lo sto­ri­co dell’arte e cri­ti­co Costan­ti­no D’Orazio. Vil­la Bor­ghe­se diven­ta un museo a cie­lo aper­to, un festi­val e una mostra nel­la qua­le il pub­bli­co può inte­ra­gi­re con le ope­re instal­la­te che riflet­to­no lo stret­to con­nu­bio Uomo-Natu­ra. Sono pre­sen­ti arti­sti di fama inter­na­zio­na­le come Loris Cec­chi­ni, Lean­dro Erlich, Giu­sep­pe Gal­lo, Mar­zia Miglio­ra, Miche­lan­ge­lo Pisto­let­to, Pie­tro Ruf­fo, Mari­nel­la Sena­to­re e l’Accademia di Arac­ne. “Assem­bly” di Sena­to­re, per esem­pio, rap­pre­sen­ta una peda­na appo­si­ta­men­te instal­la­ta per acco­glie­re per­for­man­ce ma anche azio­ni da par­te del pubblico.

Arte e Natu­ra, un con­nu­bio vin­cen­te dove l’arte diven­ta natu­ra e la natu­ra diven­ta arte.


Testo di Caro­li­na Trotta

Da strutture abbandonate a nuovi spazi d’arte 

cecco ragni

Esi­sto­no luo­ghi magi­ci e abban­do­na­ti, par­ti inte­gran­ti del­la memo­ria e dell’identità di una cit­tà che sareb­be­ro sta­ti dimen­ti­ca­ti se non fos­se­ro sta­ti attua­ti inter­ven­ti di riqua­li­fi­ca­zio­ne e rige­ne­ra­zio­ne urba­na. Que­sti luo­ghi diven­ta­no spa­zi d’arte dove la cul­tu­ra por­ta ad una nuo­va rinascita.

È sta­to inau­gu­ra­to il 5 giu­gno 2021 il nuo­vo Spa­zio Ber­len­dis pres­so il vec­chio “sque­ro” di Vene­zia in Rio dei Men­di­can­ti: una ex fale­gna­me­ria uti­liz­za­ta per la costru­zio­ne e manu­ten­zio­ne di bar­che in legno è diven­ta­ta un nuo­vo polo espo­si­ti­vo del­la cit­tà, capa­ce di coniu­ga­re iden­ti­tà sto­ri­ca e arte con­tem­po­ra­nea. Il pro­get­to di Ema­nue­la Fadal­tiMatil­de Caden­ti nasce dall’esigenza di ren­de­re la cul­tu­ra e l’arte acces­si­bi­li e inse­rir­le nel cuo­re del­la cit­tà. Le espo­si­zio­ni in cit­tà sono soli­ta­men­te affi­da­te ai padi­glio­ni del­la Bien­na­le di Vene­zia che pur­trop­po pre­ve­de una serie di vin­co­li nell’utilizzare gli spa­zi pre­sti­gio­si di rife­ri­men­to. Lo Spa­zio Ber­len­dis (300 mq di super­fi­cie e 250 mq di pare­ti espo­si­ti­ve) diven­ta così una “sca­to­la magi­ca” dove si sus­se­guo­no mostre d’arte, pro­du­zio­ne di film, com­po­si­to­ri, arti­sti, atto­ri e scrit­to­ri ma anche luo­go di idea­zio­ne e orga­niz­za­zio­ne di even­ti con col­la­bo­ra­zio­ni arti­sti­che nazio­na­li e internazionali.

Il vec­chio sque­ro, uno dei sim­bo­li del lavo­ro del­la cit­tà, diven­ta ades­so luo­go di crea­ti­vi­tà e di iden­ti­tà cul­tu­ra­le alla por­ta­ta di tut­ti

Un altro esem­pio di recen­te recu­pe­ro di uno spa­zio abban­do­na­to e ripor­ta­to alla luce per l’intera cit­tà è “L’Approdo”. Sul lun­go­ma­re di Por­to San Gior­gio, nel­le Mar­che, una vec­chia rimes­sa di pesca­to­ri diven­ta­ta poi pun­to di ven­di­ta di coz­ze, è ades­so una resi­den­za d’arte e pun­to di rife­ri­men­to cul­tu­ra­le e arti­sti­co, capa­ce di ren­de­re il por­to un luo­go ric­co di fer­men­to e ben inse­ri­to all’interno del­le dina­mi­che turi­sti­che e ter­ri­to­ria­li. Il pro­get­to appar­tie­ne all’associazione d’arte con­tem­po­ra­nea Karus­sell che si è pro­di­ga­ta per valo­riz­za­re il ter­ri­to­rio attra­ver­so arte e cul­tu­ra con un ric­co calen­da­rio di even­ti (con­cer­ti, pro­ie­zio­ni cine­ma­to­gra­fi­che, mostre foto­gra­fi­che e incon­tri cul­tu­ra­li) ma soprat­tut­to per soste­ne­re gli arti­sti emer­gen­ti coin­vol­ti, che pos­so­no così sfrut­ta­re uno spa­zio espo­si­ti­vo (con fine­stre a vetri) visi­bi­le a tutti.

Più cono­sciu­ta è l’“Edi­co­la Radetz­ky” di Mila­no, un chio­schet­to in sti­le liber­ty di fer­ro e vetro uni­co nel suo gene­re. A segui­to del pro­ces­so di riqua­li­fi­ca­zio­ne del­la Dar­se­na, que­sta strut­tu­ra è sta­ta affi­da­ta al “Pro­get­to cit­tà idea­le” che l’ha restau­ra­ta e suc­ces­si­va­men­te tra­sfor­ma­ta dal 2016 in spa­zio arti­sti­co-cul­tu­ra­le, con lo sco­po di pro­muo­ve­re arti­sti emer­gen­ti e inno­va­ti­vi sot­to gli occhi di tut­ti, gra­zie alla strut­tu­ra a vetri.

Vale la pena di cita­re un esem­pio curio­so e par­ti­co­lar­men­te accat­ti­van­te di uno spa­zio che, gra­zie ad un’operazione di cro­w­d­fun­ding, sta ulti­man­do la sua ristrut­tu­ra­zio­ne. Si trat­ta del MUDI, museo DIsco­cra­ti­co, il pri­mo museo ita­lia­no den­tro una disco­te­ca, nel­lo spe­ci­fi­co, il Coco­ri­cò di Riccione.

Il tem­pio del­la musi­ca tech­no e all’avanguardia degli anni Novan­ta, chiu­so dal 2019, è sem­pre sta­to fre­quen­ta­to da per­so­nag­gi del mon­do dell’arte, del­la cul­tu­ra e del­la musi­ca e ades­so è sta­to pre­so in mano dal col­let­ti­vo arti­sti­co “Unfol­low Adver­ti­sing”. L’idea è quel­la di ripro­por­re le leg­gen­da­rie sera­te musi­ca­li in con­co­mi­tan­za di un ric­co calen­da­rio di mostre tra scul­to­ri, pit­to­ri, foto­gra­fi e videoar­ti­sti, musi­ca dal vivo, per­for­man­ce tea­tra­li e pro­ie­zio­ni cine­ma­to­gra­fi­che. Lo sco­po è quel­lo di valo­riz­za­re il ter­ri­to­rio ed i gio­va­ni talen­ti ita­lia­ni crean­do un pun­to di aggre­ga­zio­ne, non solo per i ragaz­zi più gio­va­ni ma anche per gli adul­ti, fino ad arri­va­re ad un pub­bli­co sem­pre più ampio attra­ver­so l’organizzazione di even­ti diur­ni. Il Museo sarà anche lan­cia­to in for­ma digi­ta­le gra­zie all’utilizzo del­le nuo­ve tec­no­lo­gie (3d, Nft Art, VR,ecc..) e sarà quin­di frui­bi­le in toto ovun­que tra­mi­te tablet, pc o smartphone.

Un esem­pio tosca­no di una strut­tu­ra inse­ri­ta in un pro­get­to di riqua­li­fi­ca­zio­ne urba­na è l’Ex Mani­fat­tu­ra Tabac­chi a Firen­ze, diven­ta­ta nuo­vo polo di arte e moda: è pre­vi­sto il recu­pe­ro, entro il 2026, del­la vec­chia area indu­stria­le com­po­sta da 16 edi­fi­ci ed este­sa per 111.000 mq. La Mani­fat­tu­ra, ex con­ven­to distrut­to dagli spa­gno­li, nasce nel­la secon­da metà del 700 e ver­so la fine dell’800 rag­giun­ge il suo mas­si­mo pic­co di pro­dut­ti­vi­tà nel­la lavo­ra­zio­ne di tabac­co fino alla sua chiu­su­ra nel 2001. Dal 2018 alcu­ni spa­zi sono sta­ti adi­bi­ti a spa­zi d’artista, ini­zia­ti­ve cul­tu­ra­li, arti­sti­che, scien­ti­fi­che, ricrea­ti­ve e di volon­ta­ria­to; con il nuo­vo can­tie­re, entro il set­tem­bre 2022, l’in­te­ra Mani­fat­tu­ra diven­te­rà un quar­tie­re inno­va­ti­vo e pro­dut­ti­vo, mul­ti­cul­tu­ra­le, mul­ti­di­sci­pli­na­re e acces­si­bi­le a tut­ti. Il nuo­vo com­ples­so avrà un respi­ro inter­na­zio­na­le e soste­ni­bi­le e per­met­te­rà a Firen­ze di entra­re in una dimen­sio­ne più “moder­na” e di apri­re le por­te al con­tem­po­ra­neo e alla spe­ri­men­ta­zio­ne: cul­tu­ra, desi­gn, moda, arte e arti­gia­na­to faran­no par­te di un com­ples­so che si distin­gue­rà per la novi­tà dei con­te­nu­ti, ponen­do par­ti­co­la­re atten­zio­ne alla soste­ni­bi­li­tà ambien­ta­le e sociale.

Anche nel­la nostra cit­tà, Livor­no, esi­ste uno spa­zio che è sta­to riqua­li­fi­ca­to e che è diven­ta­to luo­go di ini­zia­ti­ve cul­tu­ra­li e mostre con­tem­po­ra­nee inno­va­ti­ve: la chie­sa, ormai scon­sa­cra­ta, del­l’As­sun­zio­ne del­la Ver­gi­ne e di San Giu­sep­pe, più nota come Chie­sa del Luo­go Pio. Dal 2013 è sta­ta inse­ri­ta nel pro­get­to del com­ples­so musea­le “Museo del­la Cit­tà di Livor­no”, che ha sede pres­so gli adia­cen­ti bot­ti­ni dell’Olio e che è sta­to inau­gu­ra­to nel 2018.Negli inter­ni baroc­chi del­la chie­sa scon­sa­cra­ta è sta­ta inse­ri­ta una col­le­zio­ne per­ma­nen­te d’arte con­tem­po­ra­nea, che ospi­ta dipin­ti e scul­tu­re di arti­sti ita­lia­ni famo­si a livel­lo inter­na­zio­na­le, tra i qua­li Gior­gio Grif­fa, Pie­ro Man­zo­ni e Pino Pasca­li con “Il gran­de rettile”.

Tut­ti esem­pi que­sti di inter­ven­ti di recu­pe­ro e riqua­li­fi­ca­zio­ne urba­na di spa­zi e strut­tu­re che pren­do­no nuo­va vita e diven­ta­no sim­bo­lo di iden­ti­tà col­let­ti­va di un territorio.


Testo di Caro­li­na Trotta
Nell’immagine l’installazione “Com­pas­sio­ne” di Cec­co Ragni ha crea­to per la Chie­sa del Luo­go Pio a Livor­no nel 2010.

Foto di E. Panattoni

Musei di Volterra

Musei Volterra

Museo Etrusco Mario Guarnacci

Il museo etru­sco Mario Guar­nac­ci di Vol­ter­ra è uno dei più anti­chi musei pub­bli­ci d’Eu­ro­pa e rap­pre­sen­ta una col­le­zio­ne di anti­chi­tà etru­sche tra le più impor­tan­ti che esi­sta­no. Mon­si­gnor Mario Guar­nac­ci, da cui pren­de il nome il museo, fu uno dei più impor­tan­ti col­le­zio­ni­sti e anti­qua­ri del Set­te­cen­to. Ori­gi­na­rio di Vol­ter­ra, dopo aver tra­scor­so par­te del­la pro­pria car­rie­ra eccle­sia­sti­ca a Roma, tor­nò nel­la cit­tà nata­le e qui, pre­so dal­la pas­sio­ne per le anti­chi­tà, comin­ciò ad orga­niz­za­re cam­pa­gne di sca­vo nel­le necro­po­li del­la città.
Nel 1761 vol­le che la sua col­le­zio­ne dive­nis­se di pro­prie­tà del­la cit­tà e fos­se peren­ne­men­te a dispo­si­zio­ne dei vol­ter­ra­ni. Que­sta rac­col­ta costi­tuì il nucleo prin­ci­pa­le del museo etrusco.
Col­lo­ca­ta ini­zial­men­te nel palaz­zo dei Prio­ri, la col­le­zio­ne Guat­nac­ci nel 1875 tro­vò siste­ma­zio­ne nel palaz­zo Desi­de­ri Tan­gas­si. L’al­le­sti­men­to di mol­te sale con­ser­va l’af­fa­sci­nan­te aspet­to otto­cen­te­sco, lascia­to con lo sco­po di costi­tui­re una sor­ta di museo nel museo, per far com­pren­de­re ai visi­ta­to­ri qua­li fos­se­ro i cri­te­ri espo­si­ti­vi del­l’e­po­ca. La pri­ma sezio­ne, al pia­no ter­ra, è dedi­ca­ta al più anti­co inse­dia­men­to del Col­le di Vol­ter­ra con alcu­ni reper­ti del­l’E­tà del Rame e del Bron­zo, si tro­va­no i cine­ra­ri bico­ni­ci e i cor­re­di pro­ve­nien­ti dal­le necro­po­li del­le Ripa­ie e del­la Badia Guer­ruc­cia, testi­mo­nian­ze del già viva­ce tes­su­to socia­le che carat­te­riz­zò l’E­tà vil­la­no­via­na di Vol­ter­ra. In epo­ca vil­la­no­via­na il tipo di ritua­le fune­ra­rio più dif­fu­so era l’in­ci­ne­ra­zio­ne; il cor­po del defun­to veni­va cre­ma­to e le cene­ri rac­col­te in un vaso det­to “bico­ni­co” pro­prio per la for­ma che ricor­da due coni sovrap­po­sti. Gli Etru­schi cre­de­va­no in una vita dopo la mor­te e per­tan­to, insie­me ai resti del defun­to, depo­ne­va­no nel­la tom­ba gli ogget­ti per­so­na­li che pote­va­no esser­gli uti­li nel­l’al­di­là. Gli ogget­ti depo­sti era­no distin­ti in base al ses­so del defun­to. Quel­li tipi­ca­men­te maschi­li era­no le armi, i rasoi e le deco­ra­zio­ni del­le bar­da­tu­re dei caval­li. Nel caso di sepol­tu­re fem­mi­ni­li tro­via­mo gio­iel­li, pet­ti­ni, attrez­zi per fila­re. Nel­la sala II si tro­va­no lo splen­di­do kya­thos in buc­che­ro con iscri­zio­ne da Mon­te­rig­gio­ni e le ore­fi­ce­rie di Ges­se­ri che sono par­te del cor­re­do di una tom­ba prin­ci­pe­sca, per­ve­nu­to al museo nel 1839 gra­zie al dono del vesco­vo Incon­tri. Accan­to si tro­va uno dei monu­men­ti più emble­ma­ti­ci del­l’e­tà arcai­ca di tut­ta l’E­tru­ria set­ten­trio­na­le: la Ste­le fune­ra­ria di Avi­le Tite, un guer­rie­ro rap­pre­sen­ta­to stan­te, di pro­fi­lo arma­to di spa­da e lan­cia con iscri­zio­ne di dedi­ca sul bor­do. Si trat­ta di uno dei miglio­ri esem­pi di rap­pre­sen­ta­zio­ne di quel­la clas­se socia­le domi­nan­te con­nes­sa al valo­re mili­ta­re che lega a un’i­co­no­gra­fia guer­rie­ra un lin­guag­gio sti­li­sti­co affi­ne al reper­to­rio del­le stel­le gre­co-orien­ta­li. Salen­do alle sale del pia­no I tro­via­mo espo­ste alcu­ne del­le urne più bel­le con rap­pre­sen­ta­zio­ne di sog­get­ti mito­lo­gi­ci, alcu­ne kele­bai a figu­re ros­se etru­sche di pro­du­zio­ne vol­ter­ra­na, il cra­te­re di Mon­te­bra­do­ni del­l’o­mo­ni­mo pit­to­re, le ore­fi­ce­rie elle­ni­sti­che più pre­sti­gio­se del­la col­le­zio­ne. In que­sto pia­no vi sono anche i due gran­di capo­la­vo­ri sim­bo­lo del Museo Guar­nac­ci: l’Om­bra del­la Seral’Ur­na degli Spo­si. La pri­ma è una del­le ope­re bron­zee più note di tut­ta l’an­ti­chi­tà clas­si­ca: si trat­ta di un bron­zet­to appar­te­nen­te ad una tipo­lo­gia di ex-voto dif­fu­so dal­l’a­rea lazia­le all’E­tru­ria cen­tro- set­ten­trio­na­le, carat­te­riz­za­ta da una ten­den­za all’al­lun­ga­men­to del­la figu­ra e a una spro­por­zio­ne del cor­po, tale da rag­giun­ge­re le sem­bian­ze di un’om­bra pro­dot­ta da luce raden­te. Le sue for­me così allun­ga­te, lo svi­lup­po ver­ti­ca­le dei volu­mi e la defor­ma­zio­ne del­la strut­tu­ra cor­po­rea ren­do­no la sta­tuet­ta incre­di­bil­men­te vici­na alla sen­si­bi­li­tà “moder­na”. La capa­ci­tà del­l’ar­ti­sta di resti­tui­re il model­la­to del cor­po secon­do una ten­den­za anco­ra natu­ra­li­sti­ca è uni­ca nel suo gene­re; la testa del fan­ciul­lo, for­te­men­te carat­te­riz­za­ta dal­le lun­ghe cioc­che dei capel­li che scen­do­no in un ciuf­fo pie­ga­to sul­la fron­te e sul­le guan­ce, assi­mi­la il bron­zet­to a model­li col­ti, di deri­va­zio­ne lisip­pea, del III sec.a.C. L’Ur­na degli Spo­si è un coper­chio in ter­ra­cot­ta biso­me in cui, cioè, l’uo­mo e la don­na sono diste­si a ban­chet­to insieme.
Il livel­lo qua­li­ta­ti­vo è altis­si­mo nel­la rea­liz­za­zio­ne dei vol­ti e nel­l’ac­cu­ra­tez­za dei dettagli.
Gli spo­si espri­mo­no nel loro sguar­do incro­cia­to un rigo­re sta­ti­co e insie­me la fer­ma volon­tà retro­spet­ti­va, sot­to­li­nea­ta dal­la soli­di­tà del vin­co­lo fami­lia­re e dal­la sin­go­la­re scel­ta di un mate­ria­le “anti­co “: è l’em­ble­ma di una socie­tà etru­sca, orgo­glio­sa del­le sue radi­ci inti­ma­men­te lega­ta al pro­prio eth­nos, nel momen­to in cui la cit­tà sta per­den­do la pro­pria indi­pen­den­za a favo­re del­la debor­dan­te poten­za roma­na dopo l’as­se­dio del­la cit­tà a ope­ra di Sil­la nell’82 – 80 a.C. Al pri­mo pia­no tro­via­mo anche la sezio­ne dedi­ca­ta alla Vol­ter­ra roma­na in cui è sta­ta rico­strui­ta una par­te del­l’i­scri­zio­ne dedi­ca­to­ria del gran­de tea­tro di Val­le­buo­na in cui sono ricor­da­ti i due mem­bri del­la fami­glia Ceci­na che for­ni­ro­no i mez­zi per la costru­zio­ne del­l’e­di­fi­cio. Tra ritrat­ti impe­ria­li e mosai­ci poli­cro­mi, tro­va qui col­lo­ca­zio­ne anche una scul­tu­ra, recen­te­men­te restau­ra­ta, det­ta Pre­te Mar­zio: la sta­tua di un uomo roma­no toga­to inte­gra­ta con una testa non per­ti­nen­te, che si tro­va­va alme­no sin dagli ini­zi del 1600 nel luo­go anti­ca­men­te indi­ca­to come Cam­po Mar­zio, da cui pre­se il nome.
Al secon­do pia­no è alle­sti­ta un’e­spo­si­zio­ne sul­l’ar­ti­gia­na­to arti­sti­co del­la Vela­th­ri ellenistica.
Qui le urne sono spie­ga­te in modo ana­li­ti­co in tut­ti gli adpet­ti: la pro­du­zio­ne, i mae­stri del­le bot­te­ghe, le com­mit­ten­ze, le scel­te dei model­li e dei sog­get­ti, i ritrat­ti dei coper­chi, i cor­re­di tom­ba­li, fino alla ripro­du­zio­ne di una bot­te­ga di urne e alla rico­stru­zio­ne di una tom­ba a camera.

Pinacoteca Civica ed Ecomuseo dell’alabastro

La pina­co­te­ca civi­ca di Vol­ter­ra ha sede nel palaz­zo Minuc­ci-Solai­ni che è uno degli edi­fi­ci archi­tet­to­ni­ca­men­te più inte­res­san­ti del­la cit­tà. Fu costrui­to su com­mis­sio­ne del­la fami­glia Minuc­ci alla fine del Quat­tro­cen­to ed è addos­sa­to ed è addos­sa­to alle pre­ce­den­ti tor­ri medie­va­li. La par­te rina­sci­men­ta­le del palaz­zo è attri­bui­ta ad Amto­nio da San Gal­lo il Vec­chio e pre­sen­ta ana­lo­gie di sti­le con il palaz­zo Stroz­zi e il palaz­zo già Gua­da­gni del Cro­na­ca a Firen­ze e il palaz­zo Pic­co­lo­mi­ni a Pien­za. Dal 1982 è sede di quel­la gal­le­ria pit­to­ri­ca comu­na­le ordi­na­ta da Cor­ra­do Ric­ci nel 1905 e fino ad allo­ra ospi­ta­ta nel Palaz­zo dei Priori.
La visi­ta ini­zia al pri­mo pia­no del­l’e­di­fi­cio, il per­cor­so è orga­niz­za­to su base cro­no­lo­gi­ca e costi­tui­sce un’in­te­res­san­te occa­sio­ne per cono­sce­re la dif­fu­sio­ne del­l’ar­te a Vol­ter­ra tra XIIIXVI seco­lo con ope­re che rac­con­ta­no la straor­di­na­ria vita­li­tà cul­tu­ra­le del­la cit­tà, toc­ca­ta dal­le cor­ren­ti arti­sti­che fio­ren­ti­ne, sene­se e pisa­ne. Sala per sala, si sco­pro­no con­ser­va­te sta­tue lignee, cera­mi­che medie­va­li, un ric­co meda­glie­re e un assor­ti­men­to nutri­to di monete.
Tra le ope­re più ico­ni­che del­la pina­co­te­ca c’è sicu­ra­men­te La Depo­si­zio­ne di Ros­so Fio­ren­ti­no, dipin­ta per la chie­sa di San Fran­ce­sco nel 1521. Que­sto qua­dro rap­pre­sen­ta un un’im­por­tan­te momen­to nel­la sto­ria del­l’ar­te ita­lia­na, quan­do pit­to­ri come il Ros­so, cer­ca­ro­no di ela­bo­ra­re un nuo­vo cano­ne pit­to­ri­co che andas­se oltre a ciò che era sta­to rag­giun­to con il Rina­sci­men­to. L’im­pres­sio­nan­te moder­ni­tà del­l’o­pe­ra, anco­ra oggi per­ce­pi­bi­le, ne fa indi­scu­ti­bil­men­te uno dei capo­la­vo­ri asso­lu­ti del manie­ri­smo. A testi­mo­nian­za del­la raf­fi­na­tis­si­ma arte sene­se c’e’ sicu­ra­men­te la “Sala di Tad­deo di Bar­to­lo” che docu­men­ta alcu­ne del­le ope­re più signi­fi­ca­ti­ve che il pit­to­re sene­se dipin­se a Vol­ter­ra tra il 1411 e il 1418. Col­pi­sce tra le mol­tis­si­me ope­re anche una gran­de pala cen­ti­na­ta di Dome­ni­co Bigor­di det­to il Ghir­lan­da­io desti­na­ta alla Badia Camal­do­le­se e volu­ta da Loren­zo de’Medici del 1492 dove sono ripro­dot­te accan­to a San Bene­det­to e San Romual­do, due San­te Vol­ter­ra­ne, Atti­nia e Gre­ci­nia­na. Nel­la pina­co­te­ca sono pre­sen­ti due ope­re di Luca Signo­rel­li, una Madon­na con Bam­bi­no e un’An­nun­cia­zio­ne entram­be dipin­te nel 1491. Di ele­va­tis­si­ma qua­li­tà pit­to­ri­ca, l’An­nun­cia­zio­ne dipin­ta nel 1491, è uno dei qua­dri più rap­pre­sen­ta­ti­vi del­lo sti­le arti­sti­co rina­sci­men­ta­le. La figu­ra del­l’an­ge­lo appe­na atter­ra­to con le vesti anco­ra svo­laz­zan­ti e la Madon­na in pie­di, in atto di riti­rar­si, si com­pon­go­no con l’ar­chi­tet­tu­ra con un risul­ta­to di gran­de armo­nia. La raf­fi­na­tez­za del­le figu­re, fer­me in una posi­zio­ne che ricor­da la sta­tua­ria gre­ca e roma­na, l’e­la­bo­ra­ta pro­spet­ti­va che pare dila­ta­re la sce­na e la minu­zio­sa resa del­le deco­ra­zio­ni e dei det­ta­gli, sono le incon­fon­di­bi­li carat­te­ri­sti­che del Mae­stro da Cor­to­na. Al pia­no supe­rio­re, due ope­re del­l’ar­ti­sta fiam­min­go Pie­ter de Wit­te ci fan­no entra­re a pie­no nel­l’ar­te moder­na. Il Com­pian­to e l’A­do­ra­zio­ne dei pasto­ri, dipin­ti tra il 1580 e il 1585, pre­sen­ta­no al meglio que­sto pit­to­re che sep­pe uni­re il clas­si­ci­smo fio­ren­ti­no del­l’ul­ti­mo Rina­sci­men­to con la com­po­nen­te fiamminga.

Eco­mu­seo del­l’a­la­ba­stro. Nel­lo splen­di­do con­te­sto del­le case­tor­ri medie­va­li del­la fami­glia Minuc­ci tro­via­mo l’E­co­mu­seo del­l’A­la­ba­stro nasce da un pro­get­to di museo dif­fu­so nel ter­ri­to­rio del­la Pro­vin­cia di Pisa che coin­vol­ge le prin­ci­pa­li real­tà loca­li lega­te alla tra­di­zio­ne arti­gia­na­le ed arti­sti­ca del­l’a­la­ba­stro: Vol­ter­ra, Castel­li­na Marit­ti­ma e San­ta Luce.
L’E­co­mu­seo si arti­co­la in due distin­ti iti­ne­ra­ri ter­ri­to­ria­li che tro­va­no rife­ri­men­to in altret­tan­ti musei tema­ti­ci: l’i­ti­ne­ra­rio del­l’e­sca­va­zio­ne, docu­men­ta­to nel pun­to musea­le di Castel­li­na Marit­ti­ma, e l’i­ti­ne­ra­rio del­la lavo­ra­zio­ne e del­la com­mer­cia­liz­za­zio­ne, lega­to alla sede musea­le di Vol­ter­ra. Nel museo sono rac­col­te le testi­mo­nian­ze del­la lavo­ra­zio­ne e del com­mer­cio del­l’a­la­ba­stro, che per seco­li sono sta­te alla base del­l’e­co­no­mia volterrana.
La pie­tra è cono­sciu­ta e lavo­ra­ta fin dai tem­pi degli Etru­schi, ma solo dal XVIII seco­lo esi­ste una vera e pro­pria indu­stria arti­gia­na­le. Nel museo sono espo­sti vasi, scul­tu­re e ogget­ti e un ampio spa­zio è dedi­ca­to al desi­gn e alle ope­re d’ar­te rea­liz­za­te in alabastro.

Palazzo dei Priori

Il Palaz­zo dei Prio­ri è il più anti­co palaz­zo pub­bli­co del­la Tosca­na. Costrui­to a par­ti­re dal 1208, si affac­cia sul­la piaz­za più impor­tan­te del­la cit­tà. Il pri­mi­ti­vo nome del­l’e­di­fi­cio fu Domus Com­mu­nis, ossia, Palaz­zo del Comu­ne e fu uti­liz­za­to dagli Anzia­ni come resi­den­za. Gli ori­gi­na­ri ven­ti­quat­tro Anzia­ni nel 1283 si tra­sfor­ma­ro­no nei diciot­to Prio­ri del Popo­lo per poi ridur­si ai dodi­ci Difen­so­ri del Popo­lo nel 1289. Il nome attua­le del palaz­zo, dei Prio­ri, si deve pro­prio al tito­lo che gli Anzia­ni assun­se­ro in segui­to, sul­l’e­sem­pio di ana­lo­ghe cari­che del comu­ne di Firen­ze. Il palaz­zo è costrui­to inte­ra­men­te in pie­tra e la fac­cia­ta è ingen­ti­li­ta da cor­ni­ci mar­ca­pia­no ed è coro­na­ta da mer­li a semi­cer­chio rea­liz­za­ti pro­ba­bil­men­te nel XVI seco­lo. La fac­cia­ta è deco­ra­ta con tar­ghe di ter­ra­cot­ta inve­tria­ta che rap­pre­sen­ta­no stem­mi di fami­glie fio­ren­ti­ne: dal XV seco­lo, Vol­ter­ra fu, infat­ti, gover­na­ta da Com­mis­sa­ri fio­ren­ti­ni essen­do entra­ta nel­l’or­bi­ta del­la cit­tà giglia­ta. La strut­tu­ra è sor­mon­ta­ta da una tor­re pen­ta­go­na­le a due ripia­ni mer­la­ti, costrui­ta intor­no nel XVI seco­lo e in segui­to rico­strui­ta dopo il ter­re­mo­to del 1846. Al pri­mo pia­no si tro­va la sala più rap­pre­sen­ta­ti­va del Palaz­zo, la Sala del Mag­gior Con­si­glio che è com­ple­ta­men­te affre­sca­ta anche se del­la deco­ra­zio­ne ori­gi­na­ria soprav­vi­ve sola­men­te un’ Annun­cia­zio­ne dipin­ta da Iaco­po di Cio­ne Orca­gna nel 1398, men­tre tut­ti gli altri affre­schi furo­no rea­liz­za­ti nel 1881. Sem­pre all’in­ter­no si tro­va il dipin­to dal tito­lo Noz­ze di Cana di Dona­to Masca­gni e un sof­fit­to ligneo di pre­ge­vo­le fat­tu­ra. Altra ope­ra a fre­sco è un Cro­ci­fis­so e san­ti di Pier Fran­ce­sco Fio­ren­ti­no, data­to 1490, posta al ter­mi­ne del­lo sca­lo­ne che immet­te nel­la Sala del Mag­gior Con­si­glio. La data­zio­ne sca­tu­ri­sce dal­la let­tu­ra di un’i­scri­zio­ne mol­to lacu­no­sa: “FRANCESCO GIOVANNI CAPITANO MCCCCLXXXX” . Nel­l’af­fre­sco si vede il Cro­ci­fis­so al cen­tro, per­no del­la com­po­si­zio­ne, con ai lati, sul­la sini­stra la Madon­na e ingi­noc­chia­to san Fran­ce­sco d’As­si­si, men­tre sul­la destra san Gio­van­ni Evan­ge­li­sta e ingi­noc­chia­to san Gio­van­ni Battista.

Teatro Romano

L’area archeo­lo­gi­ca di Val­le­buo­na è uno dei più impor­tan­ti siti ove è pos­si­bi­le com­pren­de­re l’e­vo­lu­zio­ne urba­ni­sti­ca e sto­ri­ca di Vol­ter­ra, è un ampio spa­zio sul­le pen­di­ci set­ten­trio­na­li di Vol­ter­ra, poco oltre le mura che rac­chiu­de­va­no la cit­tà medievale.
La zona fu però coin­vol­ta in epo­ca roma­na da un’in­ten­sa atti­vi­tà urba­ni­sti­ca, con la costru­zio­ne di un gran­de com­ples­so monu­men­ta­le com­po­sto da un tea­tro e da un impian­to ter­ma­le, costrui­ti in epo­che diver­se, di cui oggi è pos­si­bi­le visi­ta­re i resti.
Il tea­tro ven­ne ripor­ta­to in luce negli anni cin­quan­ta da sca­vi archeo­lo­gi­ci con­dot­ti dal­lo stu­dio­so vol­ter­ra­no Enri­co Fiu­mi: furo­no uti­liz­za­ti come ope­rai alcu­ni rico­ve­ra­ti del­l’O­spe­da­le psi­chia­tri­co di Vol­ter­ra, come ricor­da­to da una tar­ga posta all’in­gres­so dell’edificio.
Il monu­men­to vie­ne data­to tra l’1 e il 20 d.C e la sua costru­zio­ne ven­ne finan­zia­ta dal­la ric­ca fami­glia vol­ter­ra­na dei Cae­ci­na, in par­ti­co­la­re i con­so­li Gaio Ceci­na Lar­go e Aulo Ceci­na Seve­ro, come ricor­da­to dal­l’e­pi­gra­fe dedi­ca­to­ria del tea­tro stes­so, con­ser­va­ta nel Museo etru­sco Guar­nac­ci. In ana­lo­gia ai tea­tri gre­ci il tea­tro di Vol­ter­ra è par­zial­men­te sca­va­to nel pen­dio natu­ra­le di un’e­le­va­zio­ne. Duran­te gli sca­vi sono sta­ti rin­ve­nu­ti vari sedi­li, rea­liz­za­ti in cal­ca­re loca­le, con anco­ra inci­si i vari nomi dei rap­pre­sen­tan­ti del­le fami­glie più influen­ti del­la Vol­ter­ra roma­na qua­li i Cae­ci­nae, i Per­sii e i Lae­lii. La monu­men­ta­le fron­te­sce­na era lun­ga cir­ca 35 metri (122 pie­di roma­ni) ed era costi­tui­ta da due pia­ni col­lo­na­ti per un’al­tez­za supe­rio­re ai 16 metri. Si trat­ta­va di un vero e pro­prio fon­da­le sce­no­gra­fi­co che dove­va ele­var­si su due livel­li, con un’architettura simi­le alla fac­cia­ta di un edi­fi­cio, nel­la qua­le si apri­va­no tre por­te: la cen­tra­le det­ta regia e quel­le ai suoi lati det­te hospi­ta­lia uti­liz­za­te dagli atto­ri per entra­re e usci­re dal pal­co­sce­ni­co ligneo. La tec­ni­ca edi­li­zia uti­liz­za­ta nel­l’e­di­fi­cio sce­ni­co è quel­la tipi­ca di tut­to il com­ples­so tea­tra­le, si trat­ta di una mura­tu­ra con para­men­to in bloc­chet­ti paral­le­le­pi­pe­di del­la pie­tra loca­le det­ta “pan­chi­no” e nucleo inter­no cemen­ti­zio con scam­po­li del­la stes­sa pie­tra. I muri era­no into­na­ca­ti e pro­ba­bil­men­te dipin­ti o rive­sti­ti di pre­gia­te lastre mar­mo­ree. A giu­di­ca­re da quel­lo che pos­sia­mo vede­re oggi, gra­zie al restau­ro di que­sta par­te avve­nu­to tra il 1976 e 1980, la deco­ra­zio­ne del­la fron­te­sce­na dove­va esse­re ric­chis­si­ma: con basi atti­che di colon­ne in mar­mo bian­co lunen­se, con capi­tel­li corin­zi deco­ra­ti da coro­ne di foglie d’a­can­to e anco­ra fre­gi, cor­ni­ci, pan­nel­li dipin­ti, into­na­ci, sta­tue e iscrizioni.
L’or­che­stra era com­ple­ta­men­te pavi­men­ta­ta con lastre di mar­mo bian­co e per rac­co­glie­re le acque pio­va­ne defluen­ti dal­l’au­di­to­rio, cor­re­va una cana­let­ta (euri­pus) ai pie­di del­la cavea che con­vo­glia­va l’ac­qua nel sot­to­stan­te siste­ma di fogna­tu­re. Tut­to­ra si può vede­re il cana­le sot­ter­ra­neo per la rac­col­ta del sipa­rio. Era det­to auleum ed era costi­tui­to da una cor­ti­na di qual­che metro di altez­za fis­sa­ta ad anten­ne mobi­li. Il sipa­rio, rac­col­to nel fon­do del cana­le, duran­te le rap­pre­sen­ta­zio­ni si innal­za­va a chiu­de­re la sce­na duran­te gli intervalli.
Vi era anche un vela­rium, un telo soste­nu­to da 0 cor­de che copri­va l’in­te­ra area del tea­tro, poi­ché riman­go­no trac­ce del­la strut­tu­ra che lo soste­ne­va. Alla fine del III seco­lo il tea­tro ven­ne abban­do­na­to e in pros­si­mi­tà del­l’e­di­fi­cio sce­ni­co ven­ne instal­la­to un impian­to termale.
In epo­ca medioe­va­le le mura cit­ta­di­ne inglo­ba­ro­no il muro di chiu­su­ra del­la par­te più alta del­le gra­di­na­te (sum­ma cavea).

Acropoli etrusca

Quel­lo che è pos­si­bi­le ammi­ra­re nel­l’a­rea archeo­lo­gi­ca del­l’a­cro­po­li è quan­to rima­ne di una gran­de ristrut­tu­ra­zio­ne urba­ni­sti­ca e archi­tet­to­ni­ca che coin­vol­se l’in­te­ra area in epo­ca elle­ni­sti­ca III-II sec.a.C. Gli edi­fi­ci prin­ci­pa­li che spic­ca­no sul resto del com­ples­so sono due tem­pli chia­ma­ti con­ven­zio­nal­men­te tem­pio A e tem­pio B.Il tem­pio più anti­co (tem­pio B) è quel­lo più a ove­st e risa­le alla fine del III a.C. e si con­ser­va solo in par­te, al livel­lo di fon­da­zio­ni. In base a quan­to è soprav­vis­su­to pos­sia­mo com­pren­de­re che la sua archi­tet­tu­ra era di pura archi­tet­tu­ra etru­sca. Si com­po­ne­va di due par­ti: quel­la poste­rio­re con­si­ste­va in una cel­la chiu­sa e quel­la ante­rio­re era costi­tui­ta da un colon­na­to. Il tem­pio si erge­va su di un podio e vi si acce­de­va tra­mi­te una sca­li­na­ta di cui si con­ser­va una par­te. Il tem­pio A è data­bi­le intor­no alla metà del II seco­lo a.C. e pre­sen­ta una pian­ta allun­ga­ta, si è in par­te con­ser­va­ta la mura­tu­ra del podio in pie­tra are­na­ria gri­gia. L’in­ter­no del­l’e­di­fi­cio era costi­tui­to da una cel­la chiu­sa cir­con­da­ta da colon­ne e la par­te fron­ta­le ave­va una sca­li­na­ta di accesso.
Da una cister­na più anti­ca (per­ti­nen­te al com­ples­so del tem­pio B e inglo­ba­ta nel­la costru­zio­ne del tem­pio A) era pos­si­bi­le attin­ge­re acqua sia dal­l’in­ter­no del­l’e­di­fi­cio che dal­la stra­da ester­na. A que­sta fase appar­tie­ne anche un edi­fi­cio costrui­to nel mar­gi­ne occi­den­ta­le del pia­no­ro che spic­ca per la ric­chez­za del­la sua deco­ra­zio­ne. Una stan­za era infat­ti rive­sti­ta da un affre­sco com­po­sto di pan­nel­li con deco­ra­zio­ne geo­me­tri­ca poli­cro­ma, frut­to del lavo­ro di mae­stran­ze di altis­si­mo livel­lo, che è pos­si­bi­le ammi­ra­re pres­so il Museo Guarnacci.
I due tem­pli prin­ci­pa­li con­ti­nua­no, for­se, a esse­re uti­liz­za­ti anche in epo­ca roma­na, ma la zona ces­sò di esse­re fre­quen­ta­ta nel­la pri­ma metà del III seco­lo d.C.

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Turismo sostenibile e cultura diffusa

Turismo sostenibile

Nel perio­do sto­ri­co che stia­mo viven­do, dove la pan­de­mia Covid-19 ha por­ta­to mol­te per­so­ne a sen­ti­re sem­pre di più la neces­si­tà di esse­re ras­si­cu­ra­te, i con­cet­ti di eti­ca e soste­ni­bi­li­tà sono sem­pre più pre­sen­ti, così come quel­li di benes­se­re e salute.
Anche in ambi­to cul­tu­ra­le e turi­sti­co, è neces­sa­rio un net­to cam­bia­men­to di pro­spet­ti­va, in un’ot­ti­ca di respon­sa­bi­li­tà socia­le e acces­si­bi­li­tà, oltre che di soste­ni­bi­li­tà ambien­ta­le ed economica.
Stia­mo pas­san­do, già da tem­po ormai, da un “turi­smo velo­ce” ad un “turi­smo len­to”, respon­sa­bi­le e uma­ni­sti­co, capa­ce di svi­lup­pa­re nuo­ve pro­po­ste di valo­re per il nostro ter­ri­to­rio. Le per­so­ne sen­to­no sem­pre di più il biso­gno di rice­ve­re auten­ti­ci­tà da un luo­go, di cono­sce­re le sue sto­rie e di vive­re espe­rien­ze emo­zio­na­li e indimenticabili.
Lo “slow tou­ri­sm” per­met­te di vive­re il viag­gio in modo con­sa­pe­vo­le e soste­ni­bi­le, lon­ta­no dal­la fre­ne­sia di tut­ti i gior­ni, sti­mo­lan­do il turi­sta a rispet­ta­re il valo­re del patri­mo­nio ter­ri­to­ria­le e , allo stes­so tem­po, facen­do in modo che ne esca appa­ga­to e arric­chi­to, oltre che più rilas­sa­to e in pace con sé stesso.
Il turi­smo soste­ni­bi­le non è quin­di sol­tan­to il turi­smo “green” ma è lega­to anche a con­cet­ti qua­li la tute­la e la valo­riz­za­zio­ne del patri­mo­nio cul­tu­ra­le e del­le tra­di­zio­ni loca­li e per que­sto moti­vo è capa­ce di pro­muo­ve­re e aiu­ta­re non solo il ter­ri­to­rio ma anche l’in­te­ra comu­ni­tà (a par­ti­re dai pro­dot­ti agri­co­li a chi­lo­me­tro zero) e crea­re valo­re aggiun­to, iden­ti­tà e coe­sio­ne socia­le, oltre che soste­ni­bi­li­tà economica.
Lo Slow Tou­ri­sm pri­vi­le­gia mez­zi soste­ni­bi­li come il tre­no e la bici­clet­ta, che diven­ta­no par­te stes­sa dell’esperienza.
A Livor­no ne abbia­mo un bel­l’e­sem­pio con il for­mat “Cul­tu­ra a due ruo­te ” a cura di Coop.Itinera, con il patro­ci­nio del Comu­ne di Livor­no e in col­la­bo­ra­zio­ne con Gal­le­ria Uovo alla Pop. Un tour in bici­clet­ta alla sco­per­ta del­le mera­vi­glie ine­di­te di Livor­no, affron­tan­do temi sem­pre diver­si per pro­muo­ve­re il ter­ri­to­rio, pro­por­re un nuo­vo tipo di turi­smo di tipo soste­ni­bi­le e rilan­cia­re la cit­tà dal pun­to di vista cul­tu­ra­le e turi­sti­co. Que­st’an­no i per­cor­si saran­no arric­chi­ti dal­la pos­si­bi­li­tà di uti­liz­za­re la e‑bike, una spe­cia­le bici­clet­ta a peda­la­ta assistita.
In tut­ta Euro­pa ma anche in Ita­lia, sta pren­den­do sem­pre più pie­de l’u­ti­liz­zo di tre­ni e trat­te fer­ro­via­rie sto­ri­che, per spo­star­si in luo­ghi e ter­ri­to­ri inac­ces­si­bi­li e indi­men­ti­ca­bi­li, con lo sco­po di valo­riz­za­re il patri­mo­nio fer­ro­via­rio sto­ri­co nazio­na­le, il ter­ri­to­rio e il patri­mo­nio culturale.
In Tosca­na esi­ste la trat­ta “Tre­no Natu­ra ”, un tre­no turi­sti­co che attra­ver­sa la Val D’Or­cia , tute­la­ta dall’UNESCO come Patri­mo­nio Mon­dia­le dell’Umanità, con le sue car­roz­ze d’e­po­ca in legno e che si fer­ma in tut­te le pic­co­le sta­zio­ni sto­ri­che del territorio.
Un esem­pio inte­res­san­te e inno­va­ti­vo di que­st’e­sta­te è il “Tre­no Dan­te ”, pro­mos­so dal­la Regio­ne Emi­lia-Roma­gna, in occa­sio­ne del 700esimo anni­ver­sa­rio dal­la mor­te di Dan­te Ali­ghie­ri: un con­vo­glio sto­ri­co del­le Fer­ro­vie del­lo Sta­to viag­ge­rà da Firen­ze a Raven­na, attra­ver­san­do tut­ti i luo­ghi cari al poe­ta. Ci sarà inol­tre la pos­si­bi­li­tà di sog­gior­na­re nel­le strut­tu­re più carat­te­ri­sti­che del­la trat­ta, in un’ot­ti­ca di soste­ni­bi­li­tà territoriale.
Avre­te inol­tre sen­ti­to sem­pre di più par­la­re di “Alber­ghi Diffusi”e “Musei Dif­fu­si”: l’ot­ti­ca è la stes­sa. L’ “Alber­go Dif­fu­so può esse­re defi­ni­to “alber­go oriz­zon­ta­le”, con came­re e strut­tu­re col­lo­ca­te in edi­fi­ci diver­si ma vici­ni fra loro ed è par­ti­co­lar­men­te effi­ca­ce per pic­co­li bor­ghi e pae­si­ni di inte­res­se arti­sti­co e archi­tet­to­ni­co, in quan­to recu­pe­ra e valo­riz­za edi­fi­ci non uti­liz­za­ti o vec­chi ma anche inse­dia­men­ti rura­li o mon­ta­ni, evi­tan­do così l’im­pat­to ambien­ta­le deri­van­te dal­la costru­zio­ne di nuo­ve costru­zio­ni. Un’ uni­ca rete ricet­ti­va che offre pro­po­ste ori­gi­na­li, diver­se e per­so­na­liz­za­te (ci sono per esem­pio strut­tu­re a tema musicale,culturale, eno­ga­stro­no­mi­co, ecc..), con l’o­biet­ti­vo di garan­ti­re auten­ti­ci­tà e di sod­di­sfa­re i desi­de­ri di chiunque.
Il “Museo Dif­fu­so” si rea­liz­za là dove la sto­ria di un ter­ri­to­rio non può esse­re rac­con­ta­ta all’in­ter­no di quat­tro mura ed è neces­sa­rio crea­re per­cor­si cul­tu­ra­li a tema all’in­ter­no di una deter­mi­na­ta area geo­gra­fi­ca, con infor­ma­zio­ni aper­te e adat­ta­bi­li a più pubblici.
Non si par­la più di loca­li­tà spe­ci­fi­ca ma di “area” che por­ta iden­ti­tà al ter­ri­to­rio, lo valo­riz­za a livel­lo cul­tu­ra­le ed eco­no­mi­co e fa sen­ti­re la comu­ni­tà par­te inte­gran­te del “museo”, por­tan­do alla luce la sua sto­ria e tra­di­zio­ne. Il tut­to deve esse­re sup­por­ta­to da una comu­ni­ca­zio­ne e segna­la­zio­ne capa­ce di pro­muo­ve­re e crea­re , in manie­ra linea­re, un rac­con­to. Il turi­sta vive così un’e­spe­rien­za uni­ca e irri­pe­ti­bi­le ed è attrat­to da aree ter­ri­to­ria­li poco cono­sciu­te, ric­che di sto­rie da ascol­ta­re rac­con­ta­te dagli stes­si abi­tan­ti che diven­ta­no par­te atti­va del­la “nar­ra­zio­ne”, attra­ver­so per esem­pio incon­tri atti­vi­tà didat­ti­che, ecc…
Il Museo Dif­fu­so del­la Lusia­na”, per esem­pio, ha lo sco­po di tute­la­re e pro­muo­ve­re l’in­te­ra area comu­na­le, crean­do una rete fra le sei strut­tu­re musea­li più rile­van­ti: il Museo Palaz­zon, il Vil­lag­gio Pre­i­sto­ri­co del Mon­te Cor­gnon, la Val­le dei Muli­ni, l’area dimo­stra­ti­va Labio­lo sul­le atti­vi­tà del bosco, il Giar­di­no Bota­ni­co Alpi­no del Mon­te Cor­no e il Par­co del Sojo.
IN LOCO”, il museo dif­fu­so dell’abbandono in Roma­gna, riu­ni­sce tut­ti i luo­ghi pri­va­ti e pub­bli­ci che rischie­reb­be­ro di esse­re dimen­ti­ca­ti, acco­mu­na­ti fra loro da uno sta­to di degra­do e abban­do­no. Attra­ver­so una map­pa­tu­ra, atti­va dal 2010, sono sta­ti crea­ti 7 iti­ne­ra­ri di viag­gio rivol­ti a esplo­ra­to­ri, archi­tet­ti, foto­gra­fi e a tut­ti colo­ro che si dimo­stri­no incu­rio­si­ti e affa­sci­na­ti da un modo nuo­vo e inso­li­to di cono­sce­re il ter­ri­to­rio emiliano.
In un’ot­ti­ca del tut­to nuo­va e moder­na si inse­ri­sco­no “ I Musei Digi­ta­li Dif­fu­si”, un por­ta­le e una app al ser­vi­zio di sto­ria, tra­di­zio­ne e cul­tu­ra del ter­ri­to­rio, che uti­liz­za tec­no­lo­gie avan­za­te web, mobi­le, real­tà aumen­ta­ta, tag di prossimità,ecc…per la pro­du­zio­ne di con­te­nu­ti. Le per­so­ne pos­so­no visi­ta­re un luo­go da qua­lun­que pun­to si tro­vi­no, attra­ver­so la pre­sen­za di una map­pa orga­niz­za­ta per pun­ti di inte­res­se e per tema­ti­che. In ambi­to musea­le, si crea­no per­cor­si didat­ti­co-sto­ri­ci per valo­riz­za­re e gene­ra­re archi­vi digi­ta­li per tut­ti i beni con­ser­va­ti all’in­ter­no del museo.
In altre paro­le: turi­smo, cul­tu­ra e musei DI tut­ti e acces­si­bi­li PER tutti.
Come ci ricor­da la rati­fi­ca del­la “Con­ven­zio­ne di Faro” del 23 set­tem­bre 2020, infat­ti, il patri­mo­nio cul­tu­ra­le è un dirit­to per tut­ti e un dove­re rispet­tar­lo. L’in­di­vi­duo ades­so è al cen­tro, le bar­rie­re socia­li devo­no esse­re abbat­tu­te e il con­cet­to di svi­lup­po soste­ni­bi­le è lega­to ad una nuo­va idea di benes­se­re che deve tene­re con­to del­la qua­li­tà del­la vita del­le persone.


Caro­li­na Trotta

MUBIA – Geomuseo delle Biancane

MUBIA

Il Mubia rap­pre­sen­ta l’e­le­men­to di unio­ne tra il pae­sag­gio cir­co­stan­te (Par­co del­le Biam­ca­ne) e la volon­tà di far cono­sce­re in manie­ra sem­pli­ce e diret­ta l’af­fa­sci­nan­te mon­do del­la geo­lo­gia. Gli acro­ni­mi Mubia e Geo­mu­seo altro non sono che l’u­nio­ne del­le paro­le Mu – MUseo e Bia – BIAn­ca­ne, quin­di museo del­le Bian­ca­ne, inve­ce, Geo­mu­seo signi­fi­ca museo del­la geo­lo­gia, l’e­le­men­to chia­ve del Mubia.
Il Museo è frut­to di riqua­li­fi­ca­zio­ne indu­stria­le per­ché rea­liz­za­to all’in­ter­no del­la strut­tu­ra che ospi­ta­va la pri­ma cen­tra­le geo­ter­mi­ca, costrui­ta a Mon­te­ro­ton­do M.mo nel 1946, anco­ra oggi con­ser­va intat­to il car­ro­pon­te ori­gi­na­le. Il geo­mu­seo è sta­to inau­gu­ra­to il 30 mar­zo 2019 ed è un mix per­fet­to tra tec­no­lo­gia, mul­ti­me­dia­li­tà ed inte­rat­ti­vi­tà. L’at­tra­zio­ne clou è indi­scu­ti­bil­men­te la Geo­na­ve, un enor­me geo­de nero al cui inter­no è pos­si­bi­le viag­gia­re vir­tual­men­te tra i vari stra­ti roc­cio­si del­la ter­ra, fino a rag­giun­ge­re il magma.
Il Geo­mu­seo è dota­to del Labo­ra­to­rio di Liden­brock dove com­pie­re espe­ri­men­ti per com­pren­de­re attra­ver­so ele­men­ti ludi­ci i movi­men­ti del sot­to­suo­lo e di una mol­ti­tu­di­ne di teche espli­ca­ti­ve e inte­rat­ti­ve in cui è pos­si­bi­le “toc­ca­re con mano” i vari cam­pio­ni del­le roc­ce e saper­ne la loro sto­ria ed ori­gi­ne. L’a­spet­to geo­lo­gi­co, inve­ce, vie­ne trat­ta­to appro­fon­di­ta­men­te in diver­se posta­zio­ni inte­rat­ti­ve dove è pos­si­bi­le ammi­ra­re la car­ta geo­lo­gi­ca del ter­ri­to­rio, alcu­ni video nar­ra­ti­vi e altre posta­zio­ni mul­ti­me­dia­li per com­pren­de­re cos’è la geo­di­ver­si­tà di que­sto luo­go con le sue ano­ma­lie geo­ter­mi­che e capir­ne le mani­fe­sta­zio­ni in super­fi­cie.
Di recen­te alcu­ni ele­men­ti del Mubia sono sta­ti amplia­ti e rin­no­va­ti come la pecu­lia­re Stan­za del volo: un enor­me moni­tor ed una moder­na con­so­le vi faran­no osser­va­re dal­l’al­to alcu­ni aspet­ti fon­da­men­ta­li del ter­ri­to­rio qua­li la bota­ni­ca, le mani­fe­sta­zio­ni geo­ter­mi­che e la geo­lo­gia del territorio.
Impor­tan­tis­si­mo ricor­da­re che il Mubia è una del­le Por­te del Par­co Nazio­na­le del­le Col­li­ne Metal­li­fe­re, un mera­vi­glio­so per­cor­so tra i sug­ge­sti­vi vapo­ri del­le Bian­ca­ne. Per una visi­ta esclu­si­va è pos­si­bi­le noleg­gia­re del­le spe­cia­li audio­gui­de a con­du­zio­ne ossea, pen­sa­te per poter esse­re gui­da­ti tra le posta­zio­ni del Mubia e tra i per­cor­si natu­ra­li­sti­ci del Par­co del­le Bian­ca­ne ma sen­za per­de­re alcun suo­no del pae­sag­gio circostante.

Il Mubia e la geo­ter­mia vi aspet­ta­no per un’avventura alla sco­per­ta del­la geo­lo­gia del sottosuolo!

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Pao­la Fer­ri & Ila­ria Belloni

Museo di Storia Naturale del Mediterraneo

Museo di Storia Naturale

Il Museo di Sto­ria Natu­ra­le del Medi­ter­ra­neo del­la Pro­vin­cia di Livor­no, nato nel 1929, è museo di “Rile­van­za Regio­na­le”. È com­po­sto da un fron­te espo­si­ti­vo dedi­ca­to alle scien­ze natu­ra­li di 6000 mq ai qua­li si aggiun­go­no più di 1 etta­ro di aree ester­ne con l’Orto Bota­ni­co, l’Orto Etno­bo­ta­ni­co ed il Par­co Sto­ri­co anti­stan­te la vil­la Set­te­cen­te­sca che ospi­ta gli uffi­ci amministrativi.
Il Museo svi­lup­pa pro­get­ti di con­ser­va­zio­ne, tute­la e ricer­ca del patri­mo­nio natu­ra­li­sti­co, archeo­lo­gi­co e cul­tu­ra­le di respi­ro sia inter­na­zio­na­le sia nazio­na­le. È polo di rife­ri­men­to per il mon­do del­la scuo­la per la didat­ti­ca del­le scien­ze natu­ra­li ed è rico­no­sciu­to a livel­lo cit­ta­di­no come cen­tro di for­ma­zio­ne ed aggre­ga­zio­ne cul­tu­ra­le, vi han­no sede nume­ro­se asso­cia­zio­ni di volontariato.
Ogni anno svi­lup­pa atti­vi­tà rivol­te a varie cate­go­rie di uten­za: atti­vi­tà dome­ni­ca­li per bam­bi­ni, ado­le­scen­ti e fami­glie; cam­pus mul­ti­di­sci­pli­na­ri che han­no luo­go nei perio­di extra­sco­la­sti­ci; col­la­bo­ra­zio­ni con il mon­do socio­sa­ni­ta­rio per l’accessibilità di uten­za con defi­cit cogni­ti­vo o defi­cit fisi­co; atti­vi­tà mira­te ai gio­va­ni, anche NEET e Drop out, con la fina­li­tà dell’inserimento in con­te­sto lavo­ra­ti­vo; acco­glie gli stu­den­ti in atti­vi­tà di Alter­nan­za Scuo­la Lavo­ro anche inse­ren­do­li in pro­get­ti di ambi­to europeo…La fre­quen­za media è di cir­ca 60.000 visitatori.

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Testo: Bar­ba­ra Raimondi
Foto: Sil­via Gelli