- Giaele Mulinari -
Nel 1754 la tipografia di Antonio Santini e Compagni pubblica a Livorno il Magazzino toscano d’instruzione e di piacere, un periodico di durata triennale realizzato sul modello del magazine inglese e portavoce delle tendenze culturali e politiche italiane e europee. Sul frontespizio la marca tipografica, cioè il disegno spesso accompagnato da un motto che lo stampatore utilizzava per contrassegnare i volumi prodotti, rappresenta perfettamente l’idea di una Livorno inedita: sotto la fortificazione muraria e lo sguardo di Ferdinando I° che si erge a monumento simbolo della città, Pallade e Mercurio attendono in riva al mare una barca che trasporta un carico di libri. La dea della sapienza e delle arti e il protettore dell’eloquenza e del commercio aspettano pazientemente a riva lo sbarco di un nuovo sapere, quella cultura dei Lumi che di li a poco avrebbe fatto di questa terra mediterranea la sua più importante fucina di diffusione.
Nel contesto di tolleranza e libertà favorite dalla fine del Cinquecento con l’emanazione delle Leggi Patenti, Livorno diventa infatti nel Settecento uno dei centri più attivi nella produzione del commercio librario. D’altra parte, affacciata sul mare, dotata di un porto, circondata da vie fluviali che la collegano ai centri culturali di Pisa e Firenze, la città è fortemente agevolata nel trasformare il commercio dei libri nell’attività più ricca e fiorente di quegli anni. Inoltre, la nuova Legge sulla Stampa emanata da Francesco Stefano di Lorena nel 1743 che sanciva al potere statale la decisione definitiva di cosa potesse essere messo al torchio, sembra assecondare più che mai le intuizioni dei mercanti e degli artigiani labronici che presto danno vita ad una fitta rete di officine tipografiche.
In città gli stampatori si trovano ad operare in condizioni di estrema libertà a tal punto che qui si diffonde il fenomeno conosciuto come stampa alla macchia con cui pubblicare opere proibite altrove. Orfane del nome dell’autore o prive delle indicazioni editoriali, alcune vedono la luce per la prima volta; altre diventano protagoniste di coraggiose ristampe.
Emblematici l’esempio del Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria, la cui editio princeps viene realizzata nel 1764 nella tipografia di Marco Coltellini allora operante nell’odierna Via Grande, e la terza edizione dell’Encyclopedie di Diderot e D’Alembert, composta tra il 1770 e il 1779 dalla stamperia omonima, appositamente costituitasi in quegli anni alla guida del promotore Giuseppe Aubert. Opere simbolo dell’Illuminismo italiano e francese rappresentano entrambe il valore degli editori livornesi nella capacità di realizzazione di progetti ritenuti impossibili.
E se da una parte il merito del trattato del giovane marchese lombardo è soprattutto teorico e tale da portare il lungimirante granduca Pietro Leopoldo ad abolire la pena di morte in Toscana il 30 novembre 1786, dall’altra si aggiunge anche quello tecnico, compositivo e calcografico: composta di 33 volumi in folio, di cui 17 di testo, 11 di planches e 5 di supplementi l’edizione livornese del dizionario delle scienze, delle arti e dei mestieri appare infatti come un’opera di altissima qualità dove l’eleganza dei caratteri, l’armonia delle incisioni e la compostezza del testo si accordano perfettamente tra loro.