Lunedì 12 ottobre parte un breve ma intenso corso di formazione destinato allo staff di lavoro della coop Itinera che gestisce e promuove la nuova Web Tv del Comune di Livorno. Il corso, si svolgerà in forma telematica su una piattaforma digitale, avrà un docente di eccezione, ovvero la giornalista televisiva Eva Giovannini, che si è resa disponibile a sostenere e offrire ai partecipanti un’occasione, unica, per approfondire e rafforzare le proprie competenze.
Gli argomenti sono vari, ma tutti incentrati sul tema: si parte domandandosi che cosa vuol dire ‘parlare per immagini’ per passare ad una breve storia del giornalismo televisivo, ponendo l’accento su la distinzione, necessaria, tra giornalismo e spettacolo.
Inoltre ci sarà spazio proprio per aspetti pratico operativi, ovvero indicazioni su come si fa un’intervista, come si segue una conferenza stampa, come si segue e promuove un evento “live”. Sarà poi affrontata la differenza tra giornalista e SMM (social media manager), per finire su la democrazia nel tempo dei nuovi media e l’etica nell’età della tecnica
Eva Giovannini (Livorno, 1980) è giornalista e inviata Rai. Ha condotto l’edizione 2017 del Premio Strega (Raitre). Membro del “Comitato di Saggi” sull’Europa istituito dalla Presidenza della Camera (2017) e membro della giuria del Jo Cox Award per gli studi sull’Europa. Ha scritto il saggio Europa Anno Zero – Il ritorno dei Nazionalismi (Marsilio, 2015). Per la TV ha realizzato reportage per Annozero (Raidue) e Piazzapulita (La7). Ha lavorato per Skytg24 (news e nightline Controcorrente). Ha iniziato come giornalista di carta stampata collaborando con Il Tirreno e Affari&Finanza (La Repubblica).
Capraia: visioni e identità Lavori in corso per un centro di documentazione dell’isola
Regione Toscana – assessorato Cultura e Università Comune di Capraia A cura di Coop Itinera
Il sabato 5 e domenica 6 settembre a Capraia viene presentato il progetto della Regione Toscana e del Comune di Capraia, denominato Capraia : Visioni e Identità, realizzato dalla Coop Itinera. Il 6 in particolare, presso il complesso di Sant’Antonio, alla presenza della Vice Presidente della Regione Toscana Monica Barni e del Direttore Roberto Ferrari si svolgerà un interessante convegno sui temi affrontati dal progetto, che sono appunto la ricostruzione della storia dell’isola, l’importanza di una ricognizione di tutte le fonti documentarie che riguardano la Capraia, dedicando uno spazio particolare al tema dell’antico dialetto capraiese oggi scomparso. Inoltre sarà presentata la nuova biblioteca di Capraia, uno dei risultati del progetto e nuovo luogo di riferimento per approfondimenti e ricerche o semplice accesso alla conoscenza e alle lettura.
Il progetto nel suo complesso ha l’obiettivo di ricomporre il racconto di Capraia, fatto di storie, immagini, testimonianze, studi, documenti. L’isola, conosciuta da molti come meta estiva di vacanza ha una storia interessante da raccontare: a partire dalle vicende dell’isola di Capraia, dal passato anche più recente e dal dialetto che un tempo si parlava, è possibile anche rendere più comprensibile l’atmosfera peculiare che qui ancora si respira, fatta di persone, di case, di splendidi scorci di paesaggio, di luce, di profumi e di mare.
Con queste premesse è stato avviato e realizzato il bel progetto visioni e identità, che pone solide basi per rendere veramente accessibile il ricco patrimonio riguardante l’isola, fatto di documenti, materiali di archivio, immagini, ricerche e studi che nel tempo sono stati prodotti grazie al lavoro di storici appassionati. Il lavoro è stato realizzato dalla coop Itinera proprio con il coinvolgimento di chi nel tempo ha lavorato all’approfondimento degli aspetti storici dell’isola, ma anche di coloro che testimoniano con il loro quotidiano l’amore e l’attaccamento a Capraia e che hanno raccontato la loro visione, unica, dell’isola.
Un lavoro appassionato e appassionante che ci auguriamo possa essere apprezzato da tutti. I progetti culturali come questo hanno il compito di dare risalto all’autenticità del territorio alla sua narrazione e comprensione, con il proposito anche di ampliare la partecipazione sociale e di rafforzare il senso identitario, permettendo anche di comprendere fattori critici, sfide aperte, in particolare quelle legate alla capacità di accrescere realmente i livelli di accesso e di fruizione del patrimonio culturale e il grado di partecipazione delle comunità.
Ecco quindi che la creazione di una biblioteca per Capraia, che il progetto prevede, consegnerà un luogo essenziale di coesione sociale, in cui la comunità locale si riconosce e si rivela, attraverso l’accesso a tutte le fonti documentarie, le storie, le immagini, gli archivi documentari, che nel loro insieme ci restituiscono il filo rosso che lega tutta l’affascinante vicenda dell’isola di Capraia, unica, come solo quelle delle isole sanno essere.
Il progetto ha previsto inoltre la realizzazione di un volume VISIONI E IDENTITA’, realizzato da Francesco Levy, fotografo, e Margherita Neri, antropologa, fatto di ritratti e immagini della Capraia attuale, completato con interviste e racconti registrati sul campo dedicato agli aspetti rilevanti dell’attuale racconto della Capraia, consegnando un ritratto composito ma genuino dell’isola, obbligandoci a porre più attenzione anche ai suoi abitanti e alle loro vicende, anche personali, che diventano in questo caso, memoria collettiva.
Montecatini Val di Cecina è un luogo tutto da visitare: un piccolo borgo toscano con una grande storia circondato da un paesaggio naturale di grande fascino. Una tappa da non perdere per tutti coloro che cercano tranquillità e conoscere la qualità culturale di questa regione. La Miniera di rame con le sue antiche gallerie ed i suoi ampi spazi, rappresenta la particolarità di questo territorio. Si ringrazia Gabriele Ciandri per il bellissimo video realizzato grazie alla promozione del Comune di Montecatini Val Di Cecina ed alla collaborazione della cooperativa Itinera.
Innovare nel campo della Cultura non è più solo una possibilità ma un imperativo per il futuro per tutte le cooperative del settore che hanno visto mutare improvvisamente lo scenario di riferimento. Innovare, quindi, considerando la necessità di immaginare visioni diverse, nuovi modelli di produzione e di fruizione, nuovi spazi di sinergia tra funzione pubblica e ruolo del privato, nuove tecnologie come strumento di supporto. Nel webinar “Innovare Cultura” in programma martedì 19 maggio 2020, a partire dalle ore 16.00, avviamo la discussione e il confronto insieme ad esperti e cooperatori del settore. Tra gli ospiti:
Cristina Da Milano, Esperta di Comunicazione e didattica museale, Presidente di ECCOM idee per la Cultura
Annalisa Cicerchia, Docente di Management delle imprese creative Facoltà di Economia – Università di Roma Tor Vergata
Antonella Agnoli, Consulente bibliotecaria
Ruggero Sintoni, Accademia Perduta Romagna Teatri
Daniela Vianelli, Coop Itinera
Giovanna Barni, Presidente CoopCulture e CulTurMedia
Attività per tutti. Nuovo appuntamento della rubrica “A casa… Giocando s’impara” promossa dal Museo di Storia Naturale di Livorno in collaborazione con coop.Itinera. In questa puntata faremo una visita “virtuale” all’interno di Villa Henderson: Marco ci porterà alla scoperta di alcuni luoghi insoliti, conducendoci in angoli della villa e del museo che solitamente i visitatori non vedono, ma che nascondono interessanti storie e curiosità: cosa si nasconde sotto la cupola sul tetto? E lo sapevate che nel giardino del museo c’è una vera e propria grotta? Un’occasione per esplorare insieme un lato “segreto” e poco conosciuto del nostro museo.
I secoli più splendenti per la città di Livorno, è noto, sono il Seicento e il Settecento. In quei secoli la città non smette di brillare sotto la potenza del porto e delle sue esotiche e preziose merci insieme alle quali arrivano in città popoli provenienti da ogni angolo del Mediterraneo che arricchiscono la sua giovane avventura di centro portuale. Proprio nei primi anni del Seicento anche tanti artisti capitano a Livorno per lo più incisori, attratti dalla committenze ricche e potenti di ambasciatori o principi che richiedono vedute del porto e poi più tardi nel Settecento, fantastiche quanto irreali, vedute del quartiere della Nuova Venezia. Le incisioni del francese Jacques Callot e del suo emulo Stefano Della Bella sono quelle più conosciute e apprezzate oltre i confini toscani. Arriva nella nostra città anche un artista fiorentino, Giovanbattista Bracelli, incisore e pittore, il cui lavoro forse più noto è il soffitto della Galleria di Casa Buonarroti a Firenze. Sappiamo ancora oggi pochissimo della sua vita e della sua arte, ma ci basta quel poco, per definirlo un genio del suo tempo, o se vogliamo, addirittura un precursore del surrealismo, cubismo e Dadaismo insieme. Una sorta di prodigio. Dimenticato per secoli dalla critica artistica dalla sua morte in poi, accade che nel 1963 Tristan Tzara, membro fondatore insieme ad altri del Dadaismo nel Cafè Voltaire di Zurigo, pubblica un fac-simile di un suo album di incisioni, stampato a Livorno nel 1624 e dedicato a Pietro de’ Medici. L’attenzione che Tzara rivolge a Bracelli è significativa e puntuale, portandoci ad ammettere quanto sia calzante il rimando dell’arte di Bracelli con le avanguardie che stavano sconvolgendo il mondo dell’arte europea. La preziosa pubblicazione s’intitola Bizzarrie di varie figure ed è a dir poco rara, ne esistono pochissimi esemplari, oltre che ignorata dalla critica ufficiale, fatta eccezione per uno studio del 1929 del critico d’arte Kenneth Clark. Si tratta di 50 incisioni raccolte insieme, ognuna delle quali mostra due figure umanoidi che si ‘affrontano’ in una sorta di duello danzante, o in una breve schermaglia teatrale. L’iconografia del duello scherzoso proviene in questi anni dalla Commedia dell’Arte e si ritrova anche in alcune composizioni di Callot, ma è la fattura dei personaggi che travalica ogni aggancio sicuro con l’arte del tempo. Sono umanoidi, o comunque figure pseudo umane scheletriche robotiche fatte di cubi, fiamme, catene, ganci e perfino utensili da cucina. Uno scherzo, un capriccio seicentesco ma del tutto originale perché le figure di Bracelli sono veramente tante quanto è grande la sua fantasia. Unicamente Luca Cambasio aveva dipinto due figure ‘cubiste’ ma si era fermato lì e ad oggi ha una fama esageratamente superiore a Bracelli. Un artista la cui fantasia si può legare all’arte del Seicento, come lo solo le strane composizioni di Arcimboldo che mai però conobbe, e in grado di volare attraverso secoli, sotterraneo e silente, per ricomparire nelle astrazioni e figure dell’arte novecentesca più trasgressiva e innovativa.
Nuovo appuntamento della rubrica “A casa… Giocando s’impara” promossa dal Museo di Storia Naturale di Livorno in collaborazione con coop.Itinera. In questa puntata scopriremo insieme la vera storia della star del Museo di Storia Naturale del Mediterraneo: Annie, il grande scheletro di balenottera comune conservato nella Sala del Mare. Per raccontare questa incredibile avventura abbiamo invitato un ospite d’eccezione Antonio Borzatti, conservatore del Museo, che ha vissuto in prima persona i fatti e che ci parlerà del salvataggio, del recupero e della musealizzazione della nostra amata balena.
Seguiteci sul sito del Museo di storia Naturale musmed.provincia.livorno.it e sul sito di itinera www.itinera.info, ci sarà presto un nuovo ed interessante argomento da esplorare insieme. Per maggiori informazioni
Livorno è una città che può vantare un passato e un’interessante storia legata al teatro. ll primo teatro fu il San Sebastiano, o delle Commedie, realizzato alla metà del XVII secolo, trasformando poco più che uno stanzone in una cavea con tanto di palchetti suddivisi in 4 ordini bassi ed angusti. Un primo spazio scenico dunque, ubicato nelle immediate vicinanze di porta Colonnella, all’imboccatura del porto su progetto del capomastro Raffello Tenagli. Pochi anni più tardi venne aperto, nella zona della Venezia, un nuovo teatro detto dapprima degli Armeni, per la vicinanza della chiesa omonima, poi degli Avvalorati, dall’Accademia che ne assunse la gestione. Inaugurato nel 1782 fu costruito per iniziativa dell’imprenditore Gaetano Bicchierai. Il nuovo luogo di spettacolo, rispondente alle esigenze sceniche e di rappresentanza della classe borghese, poteva vantare una sala con cinque ordini di palchi, mentre all’esterno, la facciata in rilievo evidenziava in modo elegante, la presenza in città di un vero e proprio teatro, tempio laico della borghesia al potere. Nonostante le buone intenzioni l’Avvalorati, dalla seconda metà dell’Ottocento, decadde progressivamente, insieme al decadere del quartiere della Venezia. Stessa triste sorte fu riservata all’altro bel teatro realizzato poco lontano dagli Avvalorati, ovvero il Teatro dei Floridi, sempre dal nome dell’Accademia omonima, detto poi comunemente San Marco, inaugurato nel 1806 nell’area risultante dalla lottizzazione del Rivellino di San Marco. Con i suoi 136 palchi rigorosamente suddivisi in cinque ordini, era uno dei più grandi e armonici d’Italia. Le vicende del teatro ebbero alti e bassi; dopo un avvio intenso, con spettacoli di prim’ordine, il San Marco conobbe vari momenti di abbandono ciò comunque non impedì che nel 1921 la sua sala ospitasse il primo congresso del Partito Comunista Italiano, subito dopo la storica scissione del Partito Socialista presso il teatro Goldoni. Un nuovo teatro, il Rossini, nella via dei Fulgidi, nome dell’Accademia che acquistò l’edificio e si occupò quindi della vita della sua attività, fu inaugurato nel 1842. Progettato da Innocenzo Gragnani, si caratterizzò sempre per la sua particolare eleganza, sia nel prospetto che nelle decorazioni interne e nell’articolazione degli spazi e nell’arredo. Si trattava di un teatro di modeste dimensioni, con 130 palchetti distribuiti in cinque ordini, che comunque ebbe una ricca programmazione spettacolare. L’unico grande teatro ottocentesco che si è, possiamo dire, miracolosamente salvato dalla guerra è il Teatro Goldoni inaugurato nel 1847 su progetto dell’architetto Giuseppe Cappellini, su mandato dei fratelli Caporali. Il teatro, diurno e notturno, a somiglianza di quelli di Venezia e Trieste, era tra i più belli e grandiosi d’Italia. All’interno era stata ricavata una vasta sala destinata all’accademia Filarmonica, poi denominata comunemente Goldonetta, dove potevano essere realizzate delle rappresentazioni per un ristretto numero di spettatori. Se il Rossini e il Goldoni nell’Ottocento erano stati concepiti come teatri salotto, un altro obiettivo era senz’altro alla base del progetto di un nuovo teatro costruito a Livorno nella seconda metà del secolo: il Politeama. Aperto nel 1878, l’edificio si presentava in toni modesti anche se non fu modesta la sua attività: infatti, in onore all’etimo esatto del suo nome, “molti spettacoli”, il Politeama ospitò un grandissimo numero di performance. La sua struttura, con un’intelaiatura di ferro, era stata concepita proprio per poter accogliere spettacoli di ogni genere: prosa, lirica, ma anche spettacoli circensi, permettendo anche l’esibizione di acrobati, attraverso un complicato sistema di trabeazione aerea, con tiranti. Per completare la rassegna dei luoghi di spettacolo della città non possiamo trascurare le arene, ovvero i teatri diurni, anch’essi come il Politeama, di stampo popolare, ma molto frequentate dalla cittadinanza, luoghi di spettacolo vitali e dinamici. Una prima arena, l’Arena Labronica, fu realizzata lungo i fossi, nella zona attualmente occupata dal Mercato Centrale, ad opera di due imprenditori, Giuseppe Balzano e Alesando Bagagli, che dopo averla venduta nel 1838 ne costruirono una seconda, tra via Montanara e via Curtatone, denominata Teatro degli Acquedotti, poi Arena Alfieri, in un’area più decentrata, lungo il viale dei Condotti Nuovi, attuale viale Carducci. Nel 1863 fu inaugurata l’Arena Garibaldi, in via degli Asili, simile per struttura a quella di viale degli Acquedotti. Lo spettacolo di apertura fu realizzato dalla compagnia di Ernesto Rossi. Un inizio che poteva far ben sperare ma che invece non fu di buon auspicio, tanto che ben presto il teatro venne abbandonato, forse, come dice il Piombanti, per la posizione non molto felice. Appare dunque evidente che il clima della città era decisamente favorevole agli spettacoli; il moltiplicarsi di spazi dedicati al teatro e la ricca offerta di programmazioni dimostra quanto la piazza livornese fosse uno dei luoghi di eccellenza di questa arte, una tappa d’obbligo delle più importanti compagnie.
Il teatro Goldoni di Livorno, sede del XVII congresso del Partito socialista
Scrittore, poeta, commediografo, musicista e pittore di origine partenopea, conosciuto soprattutto per la sua attiva partecipazione al Futurismo e alla redazione dei Manifesti, inizia a 14 anni a comporre i primi versi, novelle, romanzi, a musicare canzoni nel più autentico stile napoletano, suonare il pianoforte, dipingere e scolpire. All’inizio del novecento nel fascicolo di spartiti Piedigrotta Cangiullo l’autore dimostra la sua propensa e qualificata inclinazione musicale tanto da farne utilizzare sei battute a Strawinsky nella famosa opera Pulcinella; nel 1912 la stesura delle prime Tavole parolibere da leggere e da vedere, sigla il sodalizio con Marinetti e segna l’inizio di una nuova ricerca formale fatta di invenzione libera e dissacratoria; nel 1922 la pubblicazione de Il Teatro della Sorpresa abbatte miti e tradizioni, sconvolgendo il pubblico con una scrittura scenica assolutamente nuova, composta da intrecci e figurazioni inaspettate. I 4 carabinieri e Cavallo in corsa sono le opere di questi anni: da una parte lo sviluppo del calligramma che trasforma lettere e numeri in “pura mimica grafica”, dall’altro la collaborazione con Boccioni con il quale interpreta la ricerca del dinamismo attraverso pennellate forti, marcate, in grado di esprimere il ritmo dell’immagine. Poi nel 1924 l’allontanamento dall’avanguardia e il conseguente passo indietro. Sebbene Cangiullo tornerà a stendere scritti sul Futurismo, il ricordo del passato diventa infatti una costante sempre più presente nei nuovi lavori pittorici imbevuti di tradizione e sentimentalismo, aspetti per i quali l’artista verrà accusato di passatismo e mercantilismo artistico. D’altra parte, il forte legame con la sua città natale e l’attaccamento ai colori e alla gente del luogo rimangono per il pittore il punto di riferimento più importante a cui ancorarsi perché, pur vivendo con armonia il tempo della sperimentazione, Cangiullo non riuscì mai e in nessun modo ad “uccidere il chiaro di luna” professato dal Futurismo. E’ questo che lo fa tornare pittore figurativo e che lo induce a raccontare il quotidiano con un costante trasporto di fondo. E sarà questo che gli farà amare come Napoli la somigliante Livorno, città nella quale visse l’ultimo ventennio della sua vita e che sentì da subito come “una terra amica, pronta all’affetto, apertamente marinara, di composto silenzio in alcune zone e di sommesso vociare in altre, esuberante e generosa”. Il popolo spontaneo che l’artista incontrò al suo arrivo e soprattutto l’amicizia con Mena Joimo ed Ezio Trassinelli, indussero Cangiullo a stabilirsi a Livorno nei primi anni sessanta dove, pur serenamente inserito, visse una vita appartata e non priva di difficoltà. Stregato da “questa terra di sole e di vento”, dai colori del cielo e naturalmente dal mare che ammirò, descrisse e dipinse con lo stesso affetto di quello partenopeo, espresse in questi anni il ritorno al figurativo in esempi di nature morte, vedute di quartiere, paesaggi e marine. Anche con l’editore Gino Belforte, Cangiullo ebbe una profonda sintonia. Conosciuto nella libreria di Via Grande, dove venivano organizzati interessanti convegni ed incontri con gli autori, condivise con lui appassionati confronti culturali che portarono nel 1968 alla pubblicazione di F. T. Marinetti + [F.] Cangiullo = Teatro della Sorpresa, in cui i bizzarri contenuti del manifesto futuristico scritto molti anni prima vennero approfonditi e sommati a prose, poesie, canzoni e memorie mai edite fino ad allora. Gli ultimi echi futuristi tornano anche sulle tele. Negli anni settanta opere come Ritratto di Marinetti, Sogno, Auguri Tutto Natale, Mehenaah!, sono infatti, nel complesso, resoconto visivo delle due facce che caratterizzarono l’artista per tutta la vita: l’irriverente e stravagante sperimentatore da una parte e, dall’altra, l’innato sentimentalista, innamorato del mare, dei tramonti, della salsedine e degli affetti umani a cui mai volle rinunciare. Francesco Cangiullo morì il 22 luglio 1977 a Livorno, al n. 6 di Piazza Modigliani.
Questo sito utilizza esclusivamente cookie tecnici e analitici anonimizzati. OkPrivacy & Cookie Policy
Privacy & Cookies Policy
Privacy Overview
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these cookies, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may have an effect on your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.